IL PARTITO TRAMORTITO E LE LACRIME DI COCCODRILLO SULLE LARGHE INTESE.
SI VEDE che è tempo democristiano, c’è un ritmo antico della giornata che non può desiderare altro che la pennichella. Niente a che vedere con l’adrenalina berlusconiana che riempiva i corridoi di urla e spintoni, e squadre di parlamentari contrapposte e veramente belligeranti. Oggi no. La maggioranza è tranquilla e si disperde verso il prosciutto e la mozzarella, il piatto freddo alla buvette. Allo sguardo resiste una macchia rossastra, il nugolo dei militi ignoti del Pd, dei caduti in battaglia, dei vinti che in lacrime si uniscono alla gioia dei vincitori. Persino Dario Franceschini, che è stato nominato ministro e vive una rinnovata felicità, ha qualcosa che non gli torna: “Ci penso anch’io, eccome se mi rode. Ma è uno stato di necessità. Non vede?”. Gli rode, è insoddisfatto ma continua, forse la situazione migliorerà. Ci vuole stomaco, fede, molto ottimismo. Lucrezia Ricchiuti, cooptata dal mondo dell’antimafia , espressa dalle viscere di Libera, la creatura di Don Ciotti, non ce la fa. Lei no. La paura ha già fatto novanta e ha già messo all’angolo Pippo Civati e Davide Mattiello. Troppo sprovveduti, disarmonici, distonici, si sono arresi alla prima prova di responsabilità . Cesare Damiano si è iscritto al purgatorio: ha votato col naso chiuso. Ma guardare il volto terreo di Felice Casson è la dimostrazione che la pena dev’essere infinita. Gli si stringono intorno e qualcuno appoggia la mano sulla spalla per incoraggiarlo. In fondo c’è Enrico Letta laggiù, è un amico, in fondo è del Pd. Ma gli occhi suoi, e siamo nella sfortuna più grande, cadono sul sorriso efferato di Gasparri, e la compostezza ritrovata di Silvio Berlusconi che si gode dal suo banco la performance di Schifani, il capogruppo: “Lei, onorevole Berlusconi ha dato prova di essere uno statista”. Lui ha fatto cenno con la testa e ringraziato degli applausi. “Siamo morti, sono fuori strada quelli del Pd”.
LA PATTUGLIETTA dei socialisti capitanati da Riccardo Nencini (sono tre), si ritrova nell’arsura alla fontanella del bar. Acqua per tutti e orazione funebre: “Bersani ha sbagliato tutto e la sinistra sta scivolando verso il nulla, ci stiamo annientando e siamo stati dei coglioni grandi così”. Marco Di Lello ha risposto all’interrogativo di Sanna sul chi ha fregato chi. Teniamoci su e non pensiamoci: “È un partito nato sbagliato, il concetto di inclusione ha annacquato le differenze, sostituito la passione, chiamati tutti a volgere lo sguardo verso l’obiettivo più breve, l’approdo quotidiano. Dobbiamo sbrigarci a capire che così non si va lontano e al congresso bisogna parlarne”. Il congresso? Gianni Cuperlo pensa che il congresso salverà l’anima dei peccatori. Ma qui è un popolo del peccato, e a squadrarlo appare nient’affatto pentito. Vedere Rosy Bindi stralunata, immobile dentro il corso dei corpi che si accingevano a dare la fiducia e lei, con un sospiro: “Io non ce la faccio”. Ce l’ha fatta, alla fine si è data un pizzicotto come Cesare Damiano e anche la Laura Puppato. Lei e lui, Corradino Mineo, che avrebbe voluto meglio precisare le ragioni del suo distinguo, intervenendo in aula. “Mi dispiace ma devo interromperla, il tempo a sua disposizione è terminato”, ha detto Grasso, il presidente, inflessibile. E tutto è finito. Il governo di Enrico Letta, sono Davide contro Golia ha detto, ha salutato festoso ed è partito per la valle di Giosafat.
di Antonello Caporale
Il Fatto Quotidiano 01.05.2013