UNO SCONTRO FEROCE SCANDISCE LA VITA DI UN GRUPPO DIRIGENTE CHE SI È SEMPRE ODIATO
In principio li divideva solo un trattino. Prima che una gestione devastante si mangiasse uno a uno i segretari di un partito sputandone i resti sul piatto. Quel trattino era la naturale congiunzione tra il centro e la sinistra usciti indenni e malconci dagli anni 80. Renderlo stabile o farlo sparire?. Era stato Achille Occhetto, con la svolta della Bolognina e la fondazione del Pds, a mettere gli ex comunisti a disposizione di una fase nuova. Costruì la “gioiosa macchina da guerra” pensando che la sinistra fosse autosufficiente a sfondare in un panorama desertificato dal crollo di Dc e Psi. Ma i suoi “progressisti” furono sconfitti dalla novità Berlusconi. L’ex segretario aveva mancato l’accordo con il Ppi, il centro, di Mino Martinazzoli e si beccò l’accusa di non aver prestato attenzione al trattino. Massimo D’Alema gliela fece pagare sostituendolo alla segreteria Pds nel ‘94 e Occhetto non si riprenderà più. D’Alema riunisce la “coalizione dei democratici” in cui centro, sinistra e sinistra-sinistra hanno ognuno il proprio spazio. Vincerà, ma vincerà anche l’Ulivo, l’albero della nuova identità democratica. Quel successo spinge le ali degli ulivisti, che il trattino vogliono abbatterlo. Lo scontro si fa duro: da un parte D’Alema e Franco Marini, dal ‘97 segretario dei Popolari, dall’altra, Prodi e Veltroni. Sembra il film dei giorni scorsi anche se è vecchio di 17 anni. CON PRODI al governo, Massimo D’Alema ingaggia lo scontro con la Cgil di Sergio Cofferati e con il Prc di Bertinotti: “Non volete le larghe intese? Sostenete il governo” dirà al congresso Pds del 1996. Ma le larghe intese hanno il volto della Bicamerale, la “madre di tutti gli inciuci” che riconosce a Silvio Berlusconi un ruolo da statista improbabile (e che, infatti, non avrà). Quell’intesa indebolirà il governo e Prodi cade nel ‘98. Dietro la mano di Bertinotti si intravede il “complotto” di D’Alema e Marini, il quale lo riconoscerà qualche anno dopo. Tocca al “lider maximo”, da Palazzo Chigi, ripristinare un robusto trattino tra un centro che si è allargato a Francesco Cossiga e Clemente Mastella e una sinistra da collocare stabilmente nel socialismo europeo, in quel momento rapito dalle sirene di Tony Blair. Il Pds si trasforma in Ds e la Rosa socialista prende il posto della falce e martello. Ma è una costruzione fredda e con poco slancio. Alle elezioni del 1999 resta ferma al 17,2%. “Competition is competition” dichiara beffardo Prodi quando alle stesse elezioni gli contrappone i Democratici (7%), dimostrando di non dimenticare nulla. Alla segreteria dei Ds, intanto, passa Walter Veltroni che si concentra nell’elezione di Ciampi alla Presidenza della Repubblica per far dispetto a Marini e D’Alema. Il quale, dopo la sconfitta alle Regionali 2000, sarà costretto a dimettersi. “I sondaggi ci danno vincenti” aveva dichiarato il giorno prima del voto trasformandolo in una conta sul proprio futuro. Perderà. E i segretari caduti sul campo diventano due. LO SCONTRO si riproduce quando si tratta di scegliere il candidato premier del 2001. La conta è tra Giuliano Amato e Francesco Rutelli: il primo, socialista, ha sostituito D’Alema al governo. Il secondo, ex di tutto, sembra ulivista. Amato farà un passo indietro e Rutelli potrà lanciare la sua sfida, perdente, al Berlusconi più forte di sempre. I Ds, con Veltroni che si rifugia al Comune di Roma, dove vince di slancio, vivono un vuoto di potere. A coordinare la segreteria c’è Pietro Folena, che poi approderà a Rifondazione comunista mentre si prepara la segreteria di Piero Fassino. L’ulivismo di Rutelli si sbriciola subito perché la sua candidatura viene utilizzata per creare la Margherita, fusione tra gli ex popolari, i Democratici e Di Pietro. Il nuovo simbolo supera di slancio il 14% mentre i Ds si fermano al 16,5. Ancora una volta, competition is competition. Prodi, nel frattempo, è stato inviato alla Commissione europea dove resterà fino al 2005. Il centro-sinistra, con trattino o senza, sembra cotto. “Con questi dirigenti non vinceremo mai” urla Nanni Moretti dal palco di Piazza Navona nel febbraio 2002. Ma c’è la stagione dei “movimenti”, quella dei girotondi, dei “no global”, del movimento per la pace. Quei dirigenti prendono fischi nei cortei, ma la piazza costituirà la base per una rimonta. È di nuovo Romano Prodi, nel 2003, a proporre una lista comune, “Uniti nell’Ulivo”, alle europee del 2004. Al ritmo di Una vita da mediano cantata da Ligabue, Prodi viene osannato da una grande Convention che gli restituisce l’onore. Chiede le primarie e ottiene la partecipazione di 4,3 milioni di persone. Fassino e Rutelli si convincono e creano la “Federazione ulivi-sta”. Ma, ancora una volta, lo fanno a metà. Alle elezioni del 2006, quelle dell’Unione, la lista dell’Ulivo è presentata alla Camera mentre al Senato Ds e Margherita restano divisi. La prima ottiene il 31% mentre le due liste si fermano al 27. Sono i voti che mancheranno per avere la stabilità al Senato. Il governo, con due voti di scarto, è già azzoppato. Rifondazione lo sosterrà, ma alla fine del 2007 Bertinotti definisce il professore “il più grande poeta morente”. Per dargli forza, Ds e Margherita si decidono al grande passo: fare il Pd. Farlo sul serio, fondere i due partiti, costruire un unico gruppo dirigente. Ma sarà una fusione fredda, realizzata nel vivo di un governo fallimentare. Per scaldarla si ricorre di nuovo alle primarie. Vi partecipano 3,5 milioni di persone – molte meno di quelle per Prodi, ricorderà sempre quest’ultimo – e Veltroni conquista la segreteria. Alleato del professore nel ‘96-‘98, stavolta lo fa fuori.
GIÀ NELL’ESTATE del 2007 circola l’ipotesi di un suo governo. In autunno, invece, debutta da neo-segretario accordandosi sulla legge elettorale con un Berlusconi in crisi. “Voi volete fottere me? E io fotto per primo voi” dirà Mastella a Prodi avendo capito che i piccoli partiti verranno sacrificati. Il governo cade il 24 gennaio 2008. Veltroni però non si cura dell’errore. Dopo la vittoria alle primarie è convinto di avere i sondaggi dalla propria parte, confortato dal quotidiano Repubblica: “Domani si può voltar pagina e aprire un ciclo nuovo”, scrive Eugenio Scalfari alla vigilia del voto. Nessuno vede il clima che monta nel Paese, il successo di libri come “La casta” , la nascita del fenomeno Grillo con il “VaffaDay” dell’8 settembre 2007. La nave è lanciata a tutta corsa verso la disfatta. Il Pd ottiene un buon risultato, il 34%. Ma distrugge gli alleati e favorisce una vittoria schiacciante di Berlusconi. Ancora un segretario sconfitto. Veltroni lascerà la segreteria del Pd nel 2009, dopo la delusione in Sardegna e verrà sostituito da Dario Franceschini. “Siamo un amalgama non riuscito” dirà D’Alema sbagliando per difetto. Quasi venti anni di scontri, infatti, non hanno mai visto un dibattito leale. Ulivisti e partitisti, liberali e socialisti sono etichette di comodo, non documenti congressuali su cui chiamare gli iscritti alla scelta. Franceschini, della cui segreteria si ricordano i calzini turchesi in solidarietà con il giudice Me-siano, sfiderà alle primarie Pier Luigi Bersani che vince grazie a un dispiegamento micidiale dell’apparato. L’ultima fase la guida lui. Con le frasi e le idee inceppate. Rivince anche contro Matteo Renzi e salva il partito dalla “rottamazione” invocata dal sindaco di Firenze. A rottamare il Pd ci penserà da solo. Assieme a tutti i segretari che l’hanno preceduto.
di Salvatore Cannavò
Il Fatto Quotidiano 26.04.2013