Le colline del Chianti per ora sembra siano riuscite a respingere gli assalti dei perforatori. Ma la caccia al petrolio e al gas naturale non si ferma davanti a nessun ostacolo. Un altro vino rosso, meno conosciuto ma altrettanto pregiato, infatti è a rischio: forse fra qualche anno l’Aglianico del Vulture non sarà solo sapido, caldo e armonico, non sarà più vellutato, una volta adeguatamente invecchiato, come dicono i sommellier, ma avrà anche un leggero retrogusto di petrolio. Quella zona della Basilicata dove si produce per il momento non è ancora toccata dalle trivelle che sondano il terreno alla ricerca di idrocarburi che stanno invadendo il resto della la regione. Ma sarebbe in arrivo la risposta alla richiesta di sondaggi Palazzo San Gervaso, una concessione che coinvolgerebbe alcuni dei comuni del marchio docg. Intanto l’intero comprensorio del Vulture, Melfi compresa, è sotto attacco con la richiesta La Bicocca, per ora solo all’inizio del lungo iter burocratico. AleAnna Resources, la società americana con sede nel Delaware e uffici italiani a Roma, ha già aperto uffici anche a Matera e fa sapere che il suo permesso di ricerca nel bacino del Bradano, la prima prospezione candidata ad aggiungere l’aroma di greggio all’Aglianico del Vulture, è in dirittura d’arrivo. Si parla del via libera entro la fine di marzo. “Assaggiate, per capire le conseguenze, i pochi vini ancora prodotti in Val D’Agri”, è l’allarme che circola tra i produttori di Aglianico docg. Poco tempo fa lo stesso Consorzio per la tutela dell’Aglianico del Vulture ha rilanciato il messaggio di pericolo. In realtà, di vigneti o di mele, che ricoprivano la Val d’Agri prima delle trivelle, si sono perse le tracce dopo il crollo verticale della qualità delle produzioni agricole. Un ultimo baluardo in difesa dell’ambiente è nella recente svolta della Regione: la moratoria sulle nuove concessioni di ricerche di petrolio. Ma il governo Monti ha fatto ricorso alla Consulta sostenendo che quel blocco è illegittimo. Del resto, come denunciano gli ambientalisti, molto attive nel Vulture, anche un’eventuale opposizione dei Comuni coinvolti potrebbe risultare “non vincolante”: in passato tutto è stato delegato alla conferenza di servizi convocata al ministero dello Sviluppo economico.
Un allarme che preoccupa molto perché, secondo la maggior parte degli esperti, il rischio di inquinamento della falda acquifera è altissimo già dalle prime prospezioni. E le conseguenze , nonostante manchi qualsiasi seria ricerca epidemiologica, sarebbero gli incrementi di numerosi malattie, anche tumorali. Una volta ottenuto il permesso di ricerca, infatti, la società che si candida a perforare per aprire i pozzi di petrolio, può cominciare con gli studi sulle carte geologiche, probabilmente già a uno stadio avanzato, per passare alle ricerche con le onde sismiche: grandi macchine fanno cadere al suolo pesanti pistoni che provocano piccoli eventi sismici e ricavano dalle onde di ritorno una analisi geologica dettagliata. Nessun danno, sembra, a parte la paura di chi, anche in Basilicata, visse il terremoto vero, quello del 1980. E che teme che anche una piccola scossa esplorativa possa innescare reazioni non previste. Poi si passa ai sondaggi veri e propri. La crosta terrestre viene perforata usando non solo trivelle, ma anche fanghi di perforazione che, secondo la denuncia di alcuni ambientalisti, potrebbero già inquinare la falda. Naturalmente le società di ricerca affermano esattamente il contrario. Ma il timore resta.
E soprattutto resta la paura che, se il petrolio sarà trovato, il pozzo vero e proprio provocherà danni irreversibili all’agricoltura. Come già sta accadendo, denunciano molti produttori agricolti, nella Val d’Agri. Dove l’economia del petrolio, con quel suo ridicolo 10 per cento di royalties lasciate in loco, contro l’85 lasciato alla Libia o l’80 per cento che resta al governo russo, non compensa certo la fuga dalle altre attività produttive, a partire dall’agricoltura. Il risultato è che duemila giovani ogni anno emigrano dalla Basilicata, dove si estrae l’80% del petrolio italiano. Lasciandola ultima nella classifica Istat della ricchezza delle regioni italiane.
di Roberto Morini
Il Fatto Quotidiano 18.03.2013