Se mai avesse importato della verità dei fatti a chiunque oggi si strappi i capelli e si indigni sulle post-verità e le bufale del web, non avremmo più un giornale in edicola e men che meno una delle testate tradizionali sul web. Perché è pura ipocrisia- che sia il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella o il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a farlo e dirlo- prendersela con qualche account Internet che esagera un pizzico i toni e pure propaga leggende metropolitane, senza rendersi conto che le balle più clamorose sono state in questi anni pubblicate dalla vecchia e tradizionalissima stampa o mandate in onda dai principali tg nazionali e internazionali.
Cose di poco conto, talvolta. Come una notizia che periodicamente appare sulla stampa di mezzo mondo, su una signora che prenderebbe il sole nuda alla finestra provocando una serie di tamponamenti a catena. Totalmente inventata, ma pubblicata dai siti internet di quotidiani di mezzo mondo, compreso Libero (nessuno di noi è immune da bufale). O per risalire indietro nel tempo, una serie di notizie false pubblicate sulla stampa senza mai fare uno straccio di verifica. A metà degli anni Novanta La Stampa in prima pagina e Repubblica al suo interno diedero la notizia della quarta stella assegnata dalla Guida Michelin a un noto ristorante francese. Era una bufala messa in giro da un critico gastronomico di Parigi, ma quei due giornali se la bevvero senza nemmeno chiamare la Michelin. Stampa Sera, il quotidiano del pomeriggio della Fiat, pubblicò una intervista di Oliviero Beha all’avvocato Giovanni Agnelli sulla Juventus. Era un falso, che nasceva da un gioco in una trasmissione radio del giorno precedente fra Beha e un buon imitatore dell’avvocato.
Tutta la stampa italiana pubblicò la bufala di una eredità di 137 miliardi di lire dell’epoca lasciata da una nobildonna a un cane lupo, dal nome Gunther. Decenni di bufale quotidiane apparse, dalla lebbra sbarcata in Sicilia a metà degli anni Novanta al fantomatico medico giapponese che per il Qn stava curando a Papa Francesco un tumore benigno al cervello. Per non dire dei morti prematuri (due quotidiani pubblicarono i coccodrilli sulla dipartita di un vivissimo Gillo Dorfles), o dei miracoli compiuti dalla stampa: Repubblica fece risorgere nel 1988 Simone du Beauvoir a due anni esatti dalla sua morte per farle promuovere un appello di intellettuali a favore della scrittrice Francoise Sagan, coinvolta in una storia di stupefacenti. Balle quotidiane, restate tutte impunite.
Qualche volta quelle balle non si poggiano su leggende metropolitane o fatti di cronaca più o meno leggeri inventati da qualche buontempone, o sulla semplice sciatteria di noi giornalisti. Sono un po’ peggio: confezionate ad arte dalla stessa stampa per colpire qualche avversario politico o per conto di qualche amico politico. Sempre più raramente la stampa fa da controcanto al potere, ma né è fedele ancella in tutto il mondo. Ne è condizionata e spesso ricattata nei suoi assetti, e non verifica più l’affermazione del potente di turno, prendendola per buona. Così è accaduto nel caso della guerra in Iraq, quando nessuno indagò sulle parole- anni dopo rivelatisi false– di George W.Bush o di Tony Blair. Così accade ogni giorno anche oggi. Dalla stampa economica che si inventa cavalieri bianchi inesistenti (ma paganti o il giornalista o il giornale stesso) per salvare questa o quella società, facendo lievitare titoli in borsa e consentendo speculazioni sul nulla. In qualche caso ci ha pensato la magistratura in tempi brevi a sollevare quei veli di ipocrisia, in altri ci sono voluti anni e in altri ancora nemmeno un colpevole ha pagato.
Bufale gran parte delle notizie sulla situazione economica italiana pubblicate nell’ultimo biennio: erano veicolate da palazzo Chigi, e sono state messe nero su bianco secondo quei desiderata, mentre pochi o nessuno le verificava e le inquadrava nel contesto generale europeo, cosa che avrebbe ucciso l’enfasi che le accompagnava. Notizie date in quale modo sono post verità, o meglio: semplicemente false. Ma non ho sentito Mattarella puntare l’indice contro, né il presidente dell’Antitrust eccepire.
In tempi assai recenti un quotidiano- La Stampa– ha lanciato la sua campagna contro la post verità centrandola su una clamorosa balla: l’account twitter di Beatrice di Maio cuore di un algoritmo ideato dal M5s con la complicità degli hacker di Vladimir Putin. Si trattava invece di Titti Brunetta, moglie del capogruppo di Forza Italia. Appresa la verità, nessuno però ha ritenuto giusto chiedere scusa delle balle diffuse. Anzi.
Così come non poche balle circolano sulla stampa tradizionale a proposito di uno dei personaggi politici più presi di mira dalle post-verità: Virginia Raggi. Intendiamoci, il sindaco di Roma ne ha fatte di sue per non strappare applausi a scena aperta. Però ogni giorno se ne inventa qualcuna sul suo conto, e passa in cavalleria. Ne ho citate tante in questi mesi, ne aggiungo una che ciclicamente torna in articoli e commenti: quella sul Comune di Roma che invitava a prenotarsi il Capodanno all’estero con un tour operator privato. Era un falso: non il comune di Roma, ma l’Ipa- l’ente di previdenza dei dipendenti capitolini, che proponeva ai suoi iscritti una convenzione con cui usufruire di sostanziosi sconti anche per il Capodanno. Falso, ma a forza di scriverlo fregandosene della verità, molti giornali lo fanno apparire vero: qui Putin non c’entra, ma l’obiettivo è lo stesso attribuito al leader russo, condizionare la vita politica di una comunità attraverso la propagazione di falsi d’autore.
Non si contano le balle pubblicate su eventi terroristici che pure non avrebbero bisogno di invenzioni, essendo già così tragici nella nuda verità. Però dalle luci della torre Eiffel spente nella notte del Bataclan (Corriere della Sera), dimenticandosi che a quell’ora si spegnevano ogni notte, alla falsa prima foto del terrorista ricercato diffusa dal Fatto quotidiano e pronta a fare il giro del mondo, nonostante fosse un fotomontaggio operato su un povero sikh residente in Canada.
Strano, no? Da decenni tutte le autorità del pianeta sopportano balle quasi quotidiane, e lo fanno perché quasi mai quelle post-verità sono lesive di chi detiene in quel tempo le leve del potere- politico, finanziario ed economico. Credo che in gran parte di quelle balle diffuse da stampa e tv ci sia malafede o sciatteria di noi giornalisti, in altre il fatto che non siamo infallibili e a tutti capita di sbagliare. Guardandoci allo specchio, perché mai dovremmo prendercela per qualche infortunio del web (anche lì la maggiore parte delle bugie circolano sui siti dei giornali tradizionali)? O con qualche persona comune che si beve leggende metropolitane non così diverse e abnormi rispetto a quelle confezionate da noi professionisti della informazione? Quando però leggo come antipasto delle uscite di Pitruzzella e Mattarella lo scandalo di una falsa dichiarazione attribuita a Paolo Gentiloni lanciata dal sito satirico lercio.it allora penso davvero male. Sarebbe stato come prendere all’epoca una prima pagina de Il Male o di Cuore per lanciare una campagna contro la stampa tradizionale.
Allora, presidente Mattarella, niente inutili ipocrisie: lei che ha vissuto in prima fila gli anni Ottanta e Novanta, sa benissimo che è ridicolo “l’odio e la violenza delle parole” del web, rispetto a quel che la politica ha vissuto in quegli anni. Si rilegga e si riveda i comizi politici di anni in cui il web non esisteva o era a disposizione di pochi adepti: i toni di oggi hanno profumo di rosa e violette rispetto a quelli di allora. Siccome al Quirinale o all’Antitrust questo è noto, il fumo che si alza serve ad annebbiare la scure della censura pronto ad abbattersi su quella libertà spicciola di espressione donata ai signori nessuno, al comune cittadino da quella grande invenzione che è il web. Sarebbe errore dalle conseguenze tragiche in un’epoca che mai come ora ha ristretto il diritto di tribuna e rappresentanza dei cittadini. Fermatevi finché siete in tempo.