Per il tribunale amministrativo della Lombardia è lecito fare profitti sui servizi idrici. Respinto il ricorso delle associaizioni dei consumatori che però annunciano ricorso al Consiglio di Stato.

Secondo i giudici amministrativi, la decisione non ha invece contraddetto l’esito del voto popolare. «Il servizio idrico», si legge nella sentenza del Tar, «deve essere qualificato come servizio di interesse economico caratterizzato, quanto ai profili tariffari, dalla necessità della copertura integrale dei costi», profilo che «trova esplicito fondamento non solo a livello nazionale, ma anche comunitario». La discriminante sta proprio in quella formula: copertura integrale dei costi.
Secondo il Tar, le società che gestiscono la distribuzione dell’acqua hanno tutto il diritto di recuperare gli investimenti fatti per la fornitura del servizio. Come? Caricandoli in bolletta. Insomma, secondo i giudici lombardi, tra i costi recuperabili ci sono anche quelli derivanti dall’investimento del capitale. La spiegazione è che, se non fosse così, alle società che gestiscono l’erogazione dell’acqua converrebbe indebitarsi piuttosto che usare i propri soldi.
Accettare l’interpretazione proposta da Federconsumatori e Associazione Acqua Bene Comune, scrive il Tar nella sentenza, «vale a dire premiare l’indebitamento esterno dei gestori, il solo riconosciuto in tariffa, rispetto all’utilizzo di mezzi propri, con conseguente aumento della tariffa stessa per fare fronte agli oneri finanziari connessi al ricorso al credito bancario».
Una decisone destinata a suscitare polemiche, visto che i risultati del referendum del 2011 erano stati colti come una specie di plebiscito a favore dell’acqua pubblica. E infatti Federconsumatori dice di non volersi arrendere. «Di fatto – dice a l’Espresso il presidente Rosario Trefiletti – il Tar concede in questo modo alle società del settore la remunerazione del capitale, la stessa che è stata abrogata dagli italiani. Per questo faremo appello al Consiglio di Stato».
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