A volte ho solo una gran pena per le decisioni che vengono prese in Italia e per come la malapolitica distrugga il Belpaese. Non c’è amore, non c’è intelligenza. Le parole dei politici sono spesso solo specchietti a cui neanche le allodole credono più. Siccome mi occupo di petrolio, parliamo di questo, anche se molte delle scelte dei governanti italici viste da quest’altro lato dell’Oceano paiono ugualmente folli ed incredibili.
Matteo Renzi, il quarantenne primo ministro che ragiona come uno di epoche molto più antiche dei suoi anni, era il nuovo che avanzava.
A Roma, in un incontro sul clima, alcuni attivisti di Legambientesrotolano uno striscione con la scritta “No Oil” contro le trivelle in Adriatico. La risposta del premier è stata: “Il vero nemico è il carbone e bisogna dire le cose come stanno e cioè che il consumo di petrolio non può finire da qui a domani mattina”.
Menomale che era il nuovo che avanzava, perché più fossile di cosi non so se si può.
E quindi, povera Italia. Stiamo qui a spulciare le pulci. Cosa rispondere. Beh, le cose non stanno proprio così caro premier. Questa non è una gara al ribasso fra petrolio e carbone, e a chi inquina di più o di meno. Tutte e due sono fonti fossili, non rinnovabili, che similmente sputano gas serra in atmosfera, che inquinano l’aria, l’acqua e i polmoni di chi vive vicino a impianti da cui vengono estratti, lavorati, trasformati. Il 40% delle emissioni di CO2 in atmosfera viene da petrolio e derivati. Tutte le organizzazioni scientifiche del mondo, ma proprio tutte, concordano che se vogliamo salvare il nostro modo di vivere, incluso quello dei figli di Renzi, le estrazioni e l’uso di petrolio devono drasticamente diminuire. Forse da Firenze e dai palazzi immacolati di Roma è possibile inventarsi improbabili sfumature di veleni, ma la verità è un’altra. Il vero nemico, caro Matteo, siete voi politicanti che continuate a dire che è tutto apposto con le trivelle in Italia, un paese che ha tutt’altra vocazione. Il giardino del mondo ridotto ad una gruviera petrolifera perché non sapete programmare, pensare, volere, osare.
Fino alla nausea ricorderò che se in Florida e in California hanno adottato barriere di protezioni di cento miglia, un motivo ci sarà. Fino alla nausea ricorderò che non si può essere Gela e Taormina allo stesso tempo. Fino alla nausea ricorderò che quel petrolio è poco e scadente, e servirà solo per gli speculatori di paesi lontani. Qui si parla di aprire all’airgun prima e alle trivelle dopo in Puglia, in Abruzzo, in Calabria, in Veneto, nelle Marche, in Sardegna, in Sicilia. Sottocosta. In qualche caso anche a cinque, sei chilometri da riva. Incluse ci sono località come Polignano a Mare, in Puglia, che è stata inserita da Cnn nella lista dei dieci posti più “cool” del mondo per cene indimenticabili grazie alla vista sul mare. Una di dieci località, scelte nel mondo intero. Cosa promuoviamo adesso, la vista trivelle? Ci si rende conto che una volta arrivati i petrolieri resteranno per generazioni? Possibile che Dario Franceschini, in teoria anche ministro del Turismo, non abbia niente da dire? E che senso ha chiedere queste roboanti autorizzazioni transnazionali alla Croazia se ci accingiamo a trivellare tutto il trivellabile in Italia?
Proprio qualche settimana fa sono state approvate quasi una dozzina di interventi di ispezioni sismiche con l’airgun in Adriatico. Cosa vogliamo diventare? Le località petrolizzate sono un continuo snocciolarsi di storie di inquinamento, terremoti, corruzione, incidenti. E dall’altro lato ci sono comunità che hanno *voluto* cambiare – Uruguay, Danimarca, Germania. Possibile che Matteo Renzi non riesca proprio a vedere l’ovvio?
Non riesco a capire perché il buonsenso sia cosi lontano dalle menti di questi nostri governanti. Forse perché vicini al potere, ai soldi, alle lobby, alle tentazioni delle multinazionali, per cui il paesaggio, i cittadini, la bellezza, non contano nulla. Non lo so, è solo triste vederlo da lontano.
Occorre semplicemente non votarli più.
L’Italia merita di meglio del vecchiume rivestito a nuovo.
di Maria Rita D’Orsogna
Il Fatto Quotidiano 25-06.2015