Politica, magistratura e popolo sono tutti responsabili della vergogna Campania. De Luca, ovviamente. Si è candidato sapendo che, se eletto, sarebbe certamente decaduto. Ha reso evidente il suo disprezzo per la legalità, non solo consapevolmente violando la legge Severino (di cui infatti non sostiene l’inapplicabilità al suo caso; si limita a richiederne l’abrogazione o la modifica); ma soprattutto denunciando e querelando strumentalmente la Presidente della Commissione Antimafia per reati che sa insussistenti. Responsabile è anche il Pd (Renzi & C; ma anche chi non protesta e non lo abbandona), che avrebbe dovuto vietargli di candidarsi, fargli mancare ogni sostegno e nominare un candidato alternativo. L’avventura di De Luca nasce da una precisa sinergia di interessi: la sua sete di potere coniugata con la spregiudicatezza del Pd, disposto a tutto pur di non perdere la Presidenza della Campania. È il consueto baratto della politica. Anche la magistratura avrebbe potuto fare di meglio. La legge istitutiva e il codice etico della Commissione Antimafia rendono obbligatoria la verifica di “impresentabili”. De Luca ha riportato condanna per abuso d’ufficio e ha un procedimento in corso per concussione. Colpevole o no che sia (questo si accerterà con sentenza definitiva), si trova nelle condizioni previste dall’art. 8 c. 1 lett. a) della legge: deve essere sospeso dalla carica. L’inserimento del suo nome nella lista redatta dalla Commissione Antimafia è legittimo; di più, è dovuto (vedi Il Fatto Quotidiano del 4 giugno). E dunque, quando De Luca denuncia Rosy Bindi per abuso di atti d’ufficio e la querela per diffamazione, l’accusa sapendola innocente. È calunnia, prevista dall’art. 368 del codice penale: non sussiste abuso d’ufficio quando si applica una norma di legge; e non si diffama quando i fatti siano veri e rivelati in un contesto che lo impone. Quanto al dolo, De Luca conosce certamente sia la legge Severino e dunque le ragioni della sua
“impresentabilità”; sia la legge istitutiva della Commissione e il codice etico da essa emanato. A tacer d’altro, perché – ben prima della sua improvvida iniziativa – se ne è parlato e scritto per settimane. Né la semplice affermazione – “ Io non la penso così, a mio parere la Bindi ha commesso reati” ha mai avuto il minimo pregio in casi del genere. Tutto ciò non solo è ben noto a ogni Pm ma è criterio costantemente utilizzato in occasione di denunce e querele infondate e pretestuose. Ebbene, non esiste un motivo al mondo per cui De Luca non avrebbe dovuto essere iscritto nel registro degli indagati per il reato di calunnia. Il problema è che anni di aggressioni mediatiche e di delegittimazione hanno reso molti giudici eccessivamente “prudenti”, preoccupati di apparire “supra partes” , anche quando si tratta di eseguire semplicemente il proprio dovere. Che non sarà adempiuto semplicemente chiedendo l’archiviazione per Rosy Bindi: si deve riconoscere l’innocenza ma si deve perseguire la colpevolezza. Invece la preoccupazione di “non influire sulle competizioni elettorali” , sui
conflitti propri della politica, conduce a evitare comportamenti doverosi. Per restare a De Luca, nel 2011 il Procuratore di Salerno, Franco Roberti, secretò la richiesta di rinvio a giudizio per peculato per non influenzare l’esito delle imminenti elezioni comunali. Questi fu poi condannato per abuso d’ufficio, modificando l’originaria imputazione. Ebbene, è così e non con una non dovuta riservatezza che si influenzano le elezioni: si impedisce ai cittadini di sapere; sapessero, forse voterebbero diversamente.
MA FORSE non è vero. Bisogna ammettere che, nel nostro Paese, i comportamenti criminali non costituiscono necessariamente una qualità negativa. Ne ho scritto spesso: la candidatura di qualche conclamato mafioso, adeguatamente supportata da mafia e concorrenti esterni, avrebbe notevole successo. È difficile stabilire se ciò derivi dall’esempio che arriva dall’alto, come i funambolismi di Renzi su Mafia Capitale (via i corrotti ma no al giustizialismo; cioè no alle misure cautelari, alle intercettazioni, alle informazioni che chiunque abbia occhi e orecchie può liberamente valutare). O dal fatto che la politica sa bene che i cittadini si sentono più garantiti nei loro interessi particolari da chi è disposto a realizzarli violando la legge piuttosto che da chi li sacrificherebbe perché con essa in contrasto. Sia come sia, i De Luca prosperano per colpa di istituzioni timide; ma soprattutto perché bene accetti dalla popolazione.
Bruno Tinti
Il Fatto Quotidiano 10.06.2015