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Così i grandi gruppi di compreranno i partiti

FSCONTI FISCALI Con la riforma di Letta per le aziende sarà ancora più conveniente finanziare i singoli politici.

 Che occorra eliminare il finanziamento pubblico ai partiti è praticamente incontestato. Il governo Letta ha annunciato un Ddl che sostituirà ai rimborsi elettorali alcune facilitazioni fiscali per chi dona soldi ai movimenti politici. Il problema come al solito è nei dettagli: se la nuova legge non si occuperà anche dell’attività di fondazioni e associazioni politiche, queste ultime – strutture in larga parte personalistiche e senza l’obbligo di presentare un bilancio – finiranno per mangiarsi i partiti rendendo il sistema ancora più opaco. Quando sarà in vigore la legge proposta da Letta, infatti, partiti e fondazioni saranno concorrenti nello stesso mercato della ricerca di fondi. E le ultime non potranno che risultare vincenti. Merito del loro regime fiscale, che è quello delle onlus, assai più conveniente rispetto a quello immaginato per i partiti: chi dona soldi a questi ultimi infatti potrà avere uno sconto fiscale massimo di 10 mila euro, chi fa un bonifico alle fondazioni invece può già ora beneficiare di una detrazione fino a 70 mila euro sul reddito e fino a 2.068 sull’Ires, la tassa sul reddito delle imprese.   Fondazioni, associazioni e think tank politici sono spuntati come funghi in Italia dagli anni Novanta e rispondono – quasi sempre – a un capo politico o a una corrente: c’è Italianieuropei di Massimo D’Alema, Nuova Italia di Gianni Alemanno, Magna Carta di Gaetano Quagliariello, 360 e VeDrò di Enrico Letta, Free Foundation di Renato Brunetta, Big Bang di Matteo Renzi, l’Aspen presieduto da Giulio Tremonti e via associando.   Una recente ricerca della Sapienza, curata da Mattia Diletti, ha contato 105 strutture di questo tipo con risultati bassissimi in termini di produzione culturale e politica (sia quantitativa che a livello di rilevanza), ma con un budget medio di 815 mila euro annui: un “fatturato” di oltre 85 milioni di euro, più o meno quanto i partiti incassano dai rimborsi elettorali (91 milioni l’anno). Chi dona tutti questi soldi? Le grandi aziende: quelle statali come Finmeccanica, Eni, Enel o Fs; quelle che vivono di concessioni o appalti pubblici come Telecom, Mediaset, Sky, Alitalia, le grandi cooperative , Lottomatica, Autogrill; i gruppi che hanno interesse ad un rapporto diretto coi leader politici come banche, Generali, Farmindustria, Google, Bat, Piaggio, Securfin (Moratti), Sorgenia, etc. Non è secondario, in questo contesto, che la legge garantisca a questo sistema la più completa opacità su entità dei versamenti ed eventuali accordi tra le parti.
QUEST’ULTIMA caratteristica spiega il perché spesso fondazioni politiche siano coinvolte in vicende di tangenti: è il caso di Fare Metropoli di Filippo Penati o della fondazione Casa delle Libertà citata nell’inchiesta Finmeccanica in relazione ad Aldo Brancher. Come ha spiegato il commercialista Gian Gaetano Bellavia ad Altra economia nel 2012, “le fondazioni servono a finanziare i politici, non la politica”. In futuro, dando soldi a questo sistema, le aziende sommeranno il vantaggio fiscale a un canale d’influenza sulle decisioni pubbliche che già ora è assai più snello: il partito, infatti, è contendibile, obbligato al rispetto di procedure democratiche e a rendicontare i soldi che gli arrivano. Tutto questo non vale per fondazioni, associazioni e think tank, che incassano dai privati assai più delle case-madre.
di Marco Palombi
Il Fatto Quotidiano 29.05.2013

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