A livello di storytelling era partita bene, con Orfini immortalato su Instagram mentre giocava alla Playstation per il piacere un po’narrativo un po’infantile del Capo. Poi col passare delle ore la realtà, carica di malanimo, ha riconfigurato i tratti somatici del sorridente cast renzista, ed è finita con una processione di facce lugubri che tradivano il vero senso delle parole “abbiamo vinto”. La maratona tv ha rivelato dei talenti della fisiognomica. Come Mastella fiondato in video da De Mita a ridimensionare la sconfitta democristiana dell’82 in maglietta da ciclista, così Guerini, Carbone, Serracchiani e il lombrosiano Rosato si sono fatti scudi umani a beneficio dell’ormai loffio racconto del cambio-verso. Vestiti a festa mastracchi, sbattuti, come se la faccia tosta di Renzi ne avesse assorbito ogni carisma, eccoli incedere in fila indiana nella cerimonia del conforto, a dire seri, come se fosse vero, che meglio di così non poteva andare.È come quando ci buttano fuori ai Mondiali: si dà la colpa all’arbitro, al clima, agli scarpini, al prato, e se il risultato è netto si contano i gol. Così tra Twitter e tv si sono barcamenati il tiepido Speranza (“Cofferati ci ha divisi e ha lavorato per i 5Stelle”), il funebre Rosato (“Che abbiamo vinto è chiaro” , è che abbiamo perso che non ci entra in testa), la bastonatissima Moretti, un po’meno ladylike dopo una notte di esortazioni ad“ aprire una riflessione”.
UN BEL SALTO, dalla foto dell’anno scorso che ritraeva il radioso quartier generale del Pd tranne Renzi (invisibile deus ex machina) riunito al Nazareno per il “risultato storico”del 40,8%: Guerini e Serracchiani gonfi di autostima svettavano al centro su una nuvola di gioventù, a destra la Boschi con treccina, a sinistra Orfini in piedi come un cameriere, e in seconda fila Pinotti, Madia e tutto il gineceo de #lavoltabuona. Oggi che la realtà è un pugno di piume si sacrificano le mezze cartucce (qualcuno ha visto la Boschi, Luca Lotti?) per cantare la vittoria dei numeri che però è una sconfitta politica. All’alba, la faccia spaccata dal fingere, twittano e retwittano una cartina dell’Italia del 2013, quando l’impero era ancora di là dal farsi, e una cartina dioggi, con 10 regioni espugnate. Fa niente se alcune di queste non sono andate al voto domenica scorsa, e quindi il confronto è un puro
nonsense. Fa niente se tre vincitori su cinque (Emiliano in Puglia, De Luca in Campania, Marini in Umbria) non siano affatto renziani; che metà dei voti di De Luca vengano dalle liste piene di impresentabili, signori dei voti dal Regno delle due Sicilie; che Marini abbia vinto coi voti anche dell’Udc; che la Moretti abbia straperso in Veneto e la Liguria sia andata a Toti, uno che poteva vincere solo con la Paita. La guerra è guerra e, come per Machiavelli, “il maggiore segno di perdere è quando non si crede potere vincere”, pure quando si sa che si è perso. E Renzi che gioca alla Play con l’aspirante politico serio Orfini, più che l’Underwood di House of Cards cui crede di somigliare, sembra Nerone che suona la lira mentre Roma brucia.
Daniela Ranieri
Il Fatto Quotidiano 02.06.2015