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L’Expo non vale l’acquedotto pugliese

Più che “L’Expo non vale l’acquedotto pugliese”,
La Pavoncelli Bis non vale la Pavoncelli…..
…e i caposelesi ancora non hanno riscosso il loro “credito”, e manco sanno di averlo!!

Caposele._Lavori_dell_Acquedotto_PuglieseNove anni in Italia, per fare qualcosa di enorme sotto gli occhi del mondo:

1906, si dà il via a quello che fu definito “Il progetto di un pozzo” (l’ingegner Camillo Rosalba): deviare il corso del fiume Sele, catturandone la sorgente nel ventre del monte Paflagone, in Irpinia, incanalarne l’acqua e, attraverso tre regioni, portarla in Puglia, sottraendola al Tirreno, per irrigare la “siticulosa” terra fra Adriatico e Jonio, arsa e sbriciolata dal sole in polvere che il calore mantiene a mezz’aria; e l’afa arriva alle stelle, scriveva Orazio;

2006, un secolo dopo, Milano dà il via alla sua iniziativa per aggiudicarsi l’Expo 2015.
vince, nel 2008, contro la turca Smirne, con l’aiuto di tutto il Paese, impegnandosi a realizzare opere di grande prestigio (quali la Biblioteca Europea, la Città dello Sport, la Città della Giustizia, il Cerba: polo per la ricerca e la cura, la Città del Gusto e della Salute) e alcune avveniristiche, quali i progetti delle Vie d’acqua e delle Vie di Terra. 

906. La sorgente del fiume appartiene al Comune di Caposele, che da quella traelavori11 ricchezza e futuro, perché la prorompente bocca d’acqua muove mulini, frantoi oleari, tintorie e gualchiere per la lavorazione della lana. Ma la Puglia schiera volontà e poteri economico e politico senza paragoni del paesino campano: dal vulcanico, visionario e autorevolissimo parlamentare Antonio Jatta (rappresenterà l’Italia, per la pace, a Parigi e a Londra), al barone e gran possidente terriero Giuseppe Pavoncelli, che poi sarà ministro ai Lavori Pubblici (dopo di lui, con il fascismo, un’altro pugliese, Araldo Di Crollalanza). I cinquemila litri al secondo della sorgente sono ceduti alla Puglia; tranne cinquecento, che continueranno ad alimentare le aziende di Caposele, al quale vanno pure 700 mila lire dell’epoca. Sembra un buon affare, nonostante tutto, ma dai paesi vicini commentano: <<Hanno venduto l’acqua e ballano!>>. L’opera titanica comincia. Quando sarà terminata, l’acqua del Sele, catturata nella montagna, vedrà la luce in un’altra regione. 

2006. A Milano, conquistata Expo (primo passo di un programma di trasformazione della città in sede di eventi planetari), Letizia Moratti, allora sindaca, Roberto Formigoni, allora presidente della Lombardia, e pezzi dell’allora governo Berlusconi cominciano a litigare su chi deve gestire la cosa ( finanziamenti per una quindicina di miliardi; una vetrina expocantieremondiale; 20milioni di visitatori previsti). Lo scontro dura circa tre anni e genera un mostriciattolo: l’Esposizione, per la prima e unica volta al mondo, si farà su suolo di privati, da ben pagare con soldi pubblici. E quando ci si decide a dare il via ai lavori ormai è spaventosamente tardi. Ma tutta la grande stampa “nazionale “, le tv e le autorità “preposte” ci rassicurano: faremo in tempo e bene. E magnificano le volontà, gli sforzi, le capacità e le altre doti padane e lombarde.
 1915, 24 aprile: dalla fontana in Piazza Umberto, a Bari, sgorga l’acqua del Sele, dopo una corsa di 240 chilometri, sfruttando pendenze minime ( a partire dai 419 metri del livello della sorgente) e principi idraulici e meccanici, senza alcuna risalita con sistemi di pompe. Lo spurgo delle condotte avviene a Santa Maria di Leuca, nel punto in cui Adriatico e Jonio si incontrano, con una cascata panoramica, da cui uscirebbe un tappo di sughero buttato nella sorgente a Caposele. Ancora oggi, è l’acquedotto più lungo del mondo (il secondo stando ad altri conteggi), il terzo per portata d’acqua e le soluzioni adottate restano all’avanguardia. Destino e storia della Puglia, già deserto, cambiano per sempre: decollano turismo, industria e agricoltura, nonostante quell’acquedotto, per molti anni abbia dato “più da “mangiare” che da bere”.
(Ma a Caposele, alla vigilia della seconda guerra mondiale, si consumerà l’estremo insulto:firma convenzione la Puglia sottrae al Comune pure le ultime gocce, il che segna la fine del distretto industriale idroalimentato. Sarà versato l’indennizzo di 1 milione e 300 mila lire agli imprenditori. Il giorno della firma, la popolazione insorge, guidata dal parroco e dal maestro. Le autorità cercano riparo nei paesi vicini. Ma la sentenza è emessa, ormai. Don Pasquale Ilaria sarà poi confinato alle Tremiti; il maestro Camillo Benincasa, trasferito). In nove anni, quanto non era accaduto in millenni; ma la Puglia non ha ancora pagato il suo debito di riconoscenza a Caposele. I pugliesi manco sanno di averlo. 

2015, Aprile: A Milano, a meno di tre settimane dall’inaugurazione dell’Expo, nessuno dei grandi progetti ideati per l’evento (Biblioteca Europea, Città dello Sport, Città della Giustizia, Polo per la ricerca e la cura, Città del Gusto e della Salute, Vie d’Acqua  e Vie di Terra) è stato realizzato, nè lo sarà più; nemmeno le opere “normali” (i capannoni per gli espositori stranieri, la grande sede della delegazione italiana) sono pronte, e buona parte non lo sarà manco il giorno d’inizio della fiera. Persino la rimozione dei materiali da discarica e rifiuti inquinanti e tossici (idrocarburi, amianto), che doveva essere conclusa nel 2013, finirà (forse…) due mesi dopo l’avvio dell’Expo e al doppio del prezzo concordato. E si dovrà fare a meno del collaudo delle opere: non c’è tempo (appena nove anni!): sapremo se un ponte regge, quando la gente ci passerà sopra. 
Circa il modo in cui questo capolavoro è stato compiuto, basterà l’elenco di politici, manager e faccendieri già finiti in carcere, per appalti addomesticati e altre porcherie (dal presidente di Expo 2015 spa a ex parlamentari e funzionari di ogni partito: tutta “classe dirigente locale”). Metodo così radicato e diffuso, da rendere necessaria una autorità anti-corruzione affidata a un magistrato (casualmente partenopeo). Eppure, penne autorevoli del Corriere della Sera, appena un anno fa, per dire dell’inaffidabilità del Sud, scrivevano che sarebbe come pretendere di organizzare le Olimpiadi a Palermo. Ora si sa cosa succederebbe a Milano; resta la speranza di poterle fare, sputtanandoci meno, a Palermo, a Napoli o a Matera. E solo qualche giorno fa, su La Stampa, spiegavano i ritardi dell’Expo con “la sfortuna” (scherzo? Per niente), “la crisi” (già!) e il terremoto de L’Aquila (giuro). 

Vi immaginate cosa si sarebbe scritto, se lo schifo con cui è stata condotta la vicenda Expo fosse stato targato “Sud”? Che fine ha fatto la voce di quelli che civilmente (talvolta) fustigano i mali del Mezzogiorno, per aiutarlo a reagire? A quale latitudine si ripone la frusta e si impugna l’ostensorio con l’incenso?
In nove anni, un secolo fa, conquistammo un futuro, orgoglio nazionale, ammirazione mondiale. Dopo nove anni, un secolo dopo tocca sperare di non esserci giocato un buon passato e non perdere la faccia dinanzi al mondo. 
Cosa si è guastato, in cento anni: il Nord, il Sud o il Paese?

di Pino Aprile 
Il Mattino 18.04.2015

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