Un’importante occasione di programmazione che però rischia di rivelarsi inutile
La giunta regionale della Campania, prima con il provvedimento 452 del 2013 e quindi con il recente disegno di legge in corso di approvazione che riguarda le <<Disposizioni urgenti in materia di Finanza regionale>>, ha riconosciuto e promosso i contratti di fiume intesi quali interventi per la riqualificazione, la salvaguardia e la tutela ambientale dei bacini idrografici della regione Campania.
Molti comuni irpini hanno inteso sfruttare tale opportunità per valorizzare i bacini fluviali, oggi considerati risorsa, anche per lo sviluppo socio-economico locale da attivarsi mediante iniziative progettuali intese ad agevolare l’agricoltura, la cultura, il turismo in sinergia con una gestione oculata e sostenibile delle risorse paesistico-ambientali. Ma cosa è il Contratto di Fiume?
Secondo la definizione data dal II Forum Mondiale sull’ Acqua, tenutosi all’Aja nel 2000, i Contratti di Fiume sono <<forme di accordo che permettono di adottare un sistema di regole in cui i criteri di utilità pubblica, rendimento economico, valore sociale, sostenibilità ambientale, intervengono in modo paritario nella ricerca di soluzioni efficaci per la riqualificazione di un bacino fluviale>>. Il Contratto di Fiume è, quindi uno strumento di programmazione negoziata interconnesso ai processi di pianificazione e principalmente mirato alla riqualificazione dei bacini fluviali.
Per la sua valenza territoriale, esso prevede il coinvolgimento di diversi Enti e Soggetti comunali e sovra comunali ivi comprese anche le associazioni ambientali che dovranno confrontarsi, discutere e determinare su molteplici aspetti anche di natura idrogeologica e geomorfologica in relazione all’evoluzione degli ecosistemi naturali e antropici. L’adozione e l’attuazione di contratti di fiume consente di recepire le istanze del territorio rendendo più efficaci le azioni previste nei Piani di Gestione delle Acque, nei Piani di Gestione del Rischio Alluvioni e nei Piani Paesaggistici che rappresentano gli strumenti di programmazione finale per uno sviluppo sostenibile di ampi comprensori a livello di bacino e spesso a carattere interregionale. Inoltre, tali protocolli giuridici, per l’estensione dei bacini fluviali e le diverse peculiarità del territorio che investono, permettono di valorizzare i connotati più caratteristici e di salvaguardarne aspetti anche sociali e valore storico e antropico.
L’interesse dei Comuni attraversati dai corsi d’acqua a stipulare Contratti di Fiume è certamente lodevole anche nell’ottica dei principi etici per il miglioramento della qualità della vita. Va considerato, però, che tale interesse deve concretizzarsi con risultati anche economici, che non possono prescindere da una visione reale dei bilanci idrici, con debita considerazione della carenze idriche nei periodi estivi-autunnali e, di contro, una ingente disponibilità della risorsa idrica nei periodi invernali-primaverili. Contratti di Fiume che sottovalutano questi aspetti e che non affrontino in modo sistematico il principale problema ossia la disponibilità di risorsa e la garanzia di un deflusso controllato e regolare, sarebbero vani ed inutili ma soprattutto condurranno all’ennesimo spreco di risorse economiche.
Le ragioni? I corsi d’acqua della provincia di Avellino (Calore, Sabato, Ofanto e Sele) sono tutti a regime idrologico torrentizio e sono caratterizzati da lunghi periodi di assenza di deflussi naturali, durante i mesi caldi. Elevato è pertanto il grado di criticità ambientale, in relazione alle loro peculiari caratteristiche idrogeologiche e alla fatale fragilità di un sistema che spesso rappresenta, nelle aree di valle e sporadicamente in quelle di monte, il recettore ultimo dei reflui in molti casi non depurati. Tale status impone, in primis, di assumere provvedimenti tesi alla regolarizzazione del regime dei prelievi attuali, allo scopo di preservare la risorsa idrica superficiale. Le aste idrografiche irpine, per le loro peculiari caratteristiche di essere di breve lunghezza e a elevata pendenza e per la stessa circostanza di essere il bacino di approvvigionamento idropotabile di due regioni (Campania e Puglia), richiedono una oculata gestione integrale del ciclo dell’acqua, tale da consentire un corretto uso per le esigenze umane (servizio idropotabile e di colletta mento e depurazione), economiche (acque per uso industriale), agricole (irrigazione) assicurando nel contempo il deflusso minimo vitale senza il quale molti di tali usi sarebbero impossibili e improponibili.
Per dare una risposta esaustiva ai molteplici interrogativi posti dalla secca dei fiumi, bisogna inquadrare la problematica nel contesto economico e sociale in cui si sviluppa e, per quanto innanzi rappresentato, prestare la massima attenzione sulla reperibilità di nuove risorse idriche onde sopperire alla sempre più crescente domanda d’acqua che investe tutte le attività umane e produttive testé citate. Infatti, il continuo aumento delle superfici impermeabilizzate e il progressivo abbandono delle coltivazioni montane e collinari provoca un’incompatibile diminuzione dei tempi di corrivazione delle acque di deflusso.
Questa circostanza provoca due effetti negativi: il primo è la riduzione dell’assorbimento del suolo che ha immediatamente ripercussioni sulla ricarica delle falde, il secondo è rappresentato dalle piene sempre più frequenti che interesano le stagione a maggiore indici di piovosità, con esondazioni e danni umani ed economici. Altro aspetto fondamentale è il controllo dei prelievi idrici da pozzi ed emungimenti superficiali per usi privati. Si osserva, infatti, una forte discordanza tra i dati ufficiali e quelli reali, sia per quanto riguarda il numero di pozzi presenti sul territorio e alla loro localizzazione, sia per quanto riguarda le portate emunte. Allo stato, infatti, si riscontra un buon successo della attività svolte di censimento e rilevamento dei punti di prelievo ma insoddisfacenti sono i risultati conseguiti nella gestione programmata dei fabbisogni. E’, quindi, indispensabile il bilancio idrico complessivo tra il fabbisogno, i prelievi possibili e la risorsa idrica disponibile come la ridefinizione delle concessione delle derivazioni idriche in atto. Urge ridefinire le aliquote idriche destinate al consumo umano e quella da rilasciare in alveo. Ogni soluzione ha il suo incipt nella stima analitica, non solo dei fabbisogni attuali e futuri delle utenze, ma anche dei volumi idrici effettivamente disponibili nell’arco dell’intero anno idrologico. Occorre però operare con cautela e senso di responsabilità per evitare l’insorgenza di problemi di sicurezza igienico-sanitaria ben più gravi, contraddicendo anche il principio, legittimato dalla legislazione vigente, che l’acqua di miglior qualità, va riservata e destinata al consumo idropotabile. Inoltre non deve sottovalutarsi come le condizioni di inaridimento della subalvea delle varie aste fluviali, soprattutto nel periodo estivo-autunnale, e la presenza di un’attiva fenomenologia carsica che genera variegati cunicoli e cavità nella roccia rendendola molto permeabile, sottraggono considerevoli volumi sia alle opere di captazione che alla fluenza dell’intero corso fluviale. In Irpinia, allo stato viene derivata una portata media annua per scopi idropotabili pari a circa 15 metri cubi al seconso, di contro non sono state definite nel dettaglio ne tantomeno vengono rilasciate il alveo le aliquote idriche che, secondo il decreto 152 del 2006, dovrebbero garantire la vita all’ecosistema fluviale. Una soluzione più consona per la risoluzione del problema della fluenza continua in alveo, può essere individuata nella realizzazione di piccoli invasi da realizzare nell’ambito dei diversi bacini fluviali, in siti che presentano idonee caratteristiche morfologiche. Con tali opere verrebbero risolte molte problematiche anche connesse al risanamento ambientale dei corsi d’acqua.
Infatti, con la realizzazione di piccoli invasi, oltre ad assicurare nei mesi estivi l’irrigazione dei terreni rivieraschi, si potrebbe garantire negli stessi mesi, una fluenza cospicua e continua tale da ricondurre le concentrazioni degli inquinamenti degli scarichi fecali dei Comuni negli standard quantitativi previsti dall’attuale normativa. Infine, questi piccoli serbatoi artificiali ben s’inserirebbero nel suggestivo paesaggio montano irpino favorendo tra l’altro anche significativi flussi turistici.
Sabino Aquino (Geologo)
Il Mattino di Avellino 29.03.2015