Non solo si nasconde dietro a quell’aria da cattivo, ma se gli girano ti dice anche – seriamente, almeno quanto seriamente ha imboccato la strada della politica – che lui democratico non lo è per niente. Sul palco recita una parte, prima di salire un’altra e quando ha finito un’altra ancora. Lo senti parlare e pensi, “oddio, quest’uomo si calmi un attimo o gli viene un infarto”. È FORSE anche per quell’aria sospesa a metà strada tra Forrest Gump e un non meglio identificato Joker di Batman, che i sondaggi lo danno in volo. Soprattutto tra i giovanissimi: fosse per loro il Movimento 5 stelle avrebbe la maggioranza relativa con il 27 per cento dei consensi. Questione di persone, certo. Tutti rimbalzati nelle liste da non si sa bene dove. Questione di Rete, intesa come quel mare magnum che è internet. Questione anche di lui, Giuseppe Grillo , detto Beppe, pochi concetti, sempre i soliti, molte battute, un programma in venti punti fatto di tag e parole chiave, più che di concetti realmente applicabili. Anche perché Grillo e i suoi corrono per fare numeri alti, non per vincere: la loro unica collocazione è all’opposizione. Unico argomento che potrebbero discutere con gli altri è quello sul conflitto d’interessi. Ma siamo ancora una volta alla parola chiave: una volta decisi i dettagli salterebbe anche questo banco. I numeri dicono che sarà la rivelazione delle prossime elezioni politiche. Se a dicembre, dopo l’espulsione dei due ribelli, Giovanni Favia e Federica Salsi, gli istituti avevano fotografato il crollo dei 5 stelle nelle percentuali, scese dal 20 per cento del periodo post boom elettorale in Sicilia all’11 per cento, dalla partenza dello Tsunami tour, che sta portando Grillo in giro per le piazze d’Italia, il trend si è invertito. Oggi l’agenzia Swg lo stima al 18%, appena sotto i due colossi Pd e Pdl, mentre Ipsos lo dà poco al di sotto del 15%. Ipr Marketing segnala una crescita di consensi di 3,5 punti, tutti guadagnati nel periodo tra il 14 gennaio e il 4 febbraio. Cifre simili a quelle dell’Istituto Piepoli, secondo cui la ripresa si attesta sui 3 punti netti. E i sondaggi lo proiettano anche sottostimato rispetto a quello che sarà il voto reale. Con queste cifre vorrebbe comunque dire, male che vada, piazzare un’ottantina di parlamentari. E di fatto costringere i partiti del governo che verrà a una coalizione sempre più allargata, pena il pareggio. Soprattutto al Senato. MENTRE L’AUDITEL non sa ancora bene dove e quando dovrà misurarlo (le ipotesi in campo per il ritorno in tv del Grillo sono Sky, con Ilaria D’Amico, La 7 da Enrico Mentana o nello studio di Michele Santoro, oppure Raitre per una sorta di tribuna elettorale) a piazza San Giovanni, a Roma, la sua partita Grillo l’ha già vinta. Primo perché fu la piazza dei comunisti, quella del concertone del 1 maggio, dei funerali di Berlinguer, del Pds, dei Ds e del Pd, e vederci Grillo sgambettare sopra qualcuno lo vede già come un oltraggio. Il secondo motivo, invece, è legato alla ventilata presenza di Adriano Celentano: il molleggiato potrebbe decidere di tirare la volata a Grillo con un’apparizione sul palco del 22 febbraio a chiusura del tour elettorale dei 5 stelle. Tutto questo, sondaggi inclusi, avviene ancora a sedici giorni dal voto. I numeri sono relativamente attendibili, ma soprattutto in tema grillismo tutto è molto fluido, cambia con una rapidità che la politica non ha mai conosciuto. Un mese, prima che iniziasse lo Tsunami tour dalla toscana, il Movimento 5 stelle si era praticamente perso, con un calo di consensi di oltre 5 punti percentuali. E Pier Luigi Bersani aveva smesso di fare i conti con Grillo: un 10, 12 per cento, tanto non avrebbe impensierito nessuno. Tempo due settimane e Grillo è tornato a due passi dal Pdl, dunque dall’essere la seconda forza politica del Paese. E, come ha detto Grillo ieri, tradotto vorrebbe dire “tornare alle urne dopo sei mesi”.
Emiliano Liuzzi
Il Fatto Quotidiano 8 febbraio 2013
HA GIOCATO d’anticipo Beppe Grillo e per la chiusura della campagna elettorale, venerdì 22 febbraio, si è prenotato Piazza San Giovanni a Roma. Soffiando così al centrosinistra uno dei suoi luoghi simbolo, l’arena rossa, un totem per la sinistra storica italiana e per il sindacato. E così ieri è arrivata la risposta del Pd: Pier Luigi Bersani chiuderà sempre a Roma, in un’altra piazza San Giovanni. San Giovanni Bosco alla Tuscolana. Sembra tanto un ripiego, ma i Democratici la vendono come una scelta: una piazza popolare. E gli altri? Mario Monti non ha ancora deciso esattamente dove, ma anche lui chiuderà la campagna a Roma. Mentre Silvio Berlusconi ancora non lo sa. In linea perfetta con una campagna elettorale tutta giocata negli studi Tv, neanche la chiusura va in contro-tendenza: tutti nella Capitale e poi di corsa alla Rai. Infatti per la serata del 22 sono previste tre interviste singole ai tre leader della coalizione.