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Scilirenzi

Renzi2Renzi ha molti difetti, ma non quello di ignorare il consenso popolare (che rimane per lui molto alto) e le ricadute di ciò che fa (poco) e dice (molto) sull’opinione pubblica. Per questo, oltreché indecente, è anche stupefacente la disinvoltura con cui sta imbarcando pezzi di altri partiti per rimpiazzare il pronto soccorso azzurro provvisoriamente inattivo. Esattamente come fece B. nel 2010, quando perse il sostegno di Fini e del suo partito Futuro e Libertà. Nella graduatoria dell’immoralità, è meno grave l’annessione al Pd dei senatori di Scelta civica (dei deputati può farne a meno), che sostenevano il suo governo fin dall’inizio ed erano stati eletti nel 2013 predicando le larghe intese; lo è un po’ di più il reclutamento di ex parlamentari eletti col Pdl su un programma di totale incompatibilità col centrosinistra dopo la coabitazione nel governo Monti; e lo è infinitamente di più l’acquisto di fuorusciti o espulsi dal M5S, che dai palchi di Grillo avevano promesso di spezzare le reni a “Pdl e Pdmenoelle”.
Questa distinzione, però, siamo noi a farla. Renzi è sempre stato molto più tranchant: chiunque cambi partito deve dimettersi ipso facto da parlamentare per non tradire i suoi elettori. Lo disse la prima volta nel febbraio 2010, in un dibattito a Porta a Porta che spopola sul web, quando spiegò a Paola Binetti che aveva appena mollato il Pd per l’Udc insieme a Enzo Carra e a Dorina Bianchi: “La tua posizione, di Carra e altri è rispettabile, ma dovevate avere il coraggio di dimettervi dal Pd e dal Parlamento, perché non si sta in Parlamento coi voti presi dal Pd per andare contro il Pd. È ora di finirla con chi viene eletto con qualcuno e poi passa di là. Vale per quelli di là, per quelli della sinistra, per tutti. Se c’è l’astensionismo è anche perché se io prendo e decido di mollare con i miei, mollo con i miei – è legittimo farlo, perché non me l’ha ordinato il dottore – però ho il coraggio anche di avere rispetto per chi mi ha votato, perché chi mi ha votato non ha cambiato idea”.

https://www.youtube.com/watch?v=q70cSZHzPIA&feature=youtu.be

Un anno dopo, ribadì: “Io non esco dal Pd nemmeno se mi cacciano, non sono mica uno Scilipoti. Se uno smette di credere in un progetto politico, non deve certo essere costretto con la catena a stare in un partito. Ma, quando se ne va, deve fare il favore di lasciare anche il seggiolino” (22 febbraio 2011).
Parole sante, che a risentirle spiegano perché il sindaco Renzi fu subito avvertito come un politico nuovo e diverso e potè iniziare la sua irresistibile ascesa verso il Nazareno e Palazzo Chigi. Parole che, se fosse un filo coerente, avrebbe dovuto ripetere alla fila di poltronisti in fuga dai Titanic di B. e di Monti che si accalcano alla sua porta: “Benvenuti nel Pd, ma prima dovete dimettervi dal Parlamento e lasciare il seggiolino: voi potete aver cambiato idea, ma i vostri elettori no”. Invece li ha fatti entrare tutti, salutati dalla Boschi come “valori aggiunti” e nobilitati dall’ex cossighiano Naccarato (Gal) come “stabilizzatori”, mentre il Corriere titola soavemente “Renzi amplia il Pd” manco fosse un’impresa edile dopo il piano-casa. Non è solo una questione di coerenza, ma di rappresentanza. I voltagabbana servono a Renzi per creare una maggioranza artificiale che è minoranza nel Paese e far passare l’Italicum e il nuovo Senato, che ci darebbero un Parlamento con almeno 500 nominati su 730. Senza il premio di maggioranza illegittimo di 148 parlamentari che il Porcellum ha regalato al centrosinistra prima di essere raso al suolo dalla Consulta, infatti, il governo Renzi non sarebbe mai nato per mancanza di numeri. Ora il premier mai eletto si fabbrica – con metodi banditeschi a suo tempo denunciati pure da lui – una maggioranza incostituzionale per aggirare una sentenza della Corte costituzionale. Si spera vivamente in un sussulto di Sergio Mattarella e della sua schiena dritta.

di Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano 08.02.2015

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