Matteo di qua, Matteo di là, anche perché i Matteo sono due: Renzi e Salvini. Parlano dappertutto e ne parlano tutti. Poi c’è Di Matteo, nel senso di Nino, il pm di Palermo condannato a morte da Totò Riina, il quale – intercettato nell’ora d’aria con il boss pugliese Alberto Lorusso – non s’è limitato a “minacciarlo”, come scrive la stampa corazziera, ma ha ordinato una strage come a Capaci e in via D’Amelio: “Questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta, e allora se fosse possibile ucciderlo, un’esecuzione come a quel tempo a Palermo. Organizziamola questa cosa, facciamola grossa e non parliamone più”. Era il 16 novembre 2013. In 12 mesi il capo dello Stato, pur così ciarliero fra esternazioni e moniti, non ha trovato due parole di solidarietà per questo servitore dello Stato. Nemmeno quando se l’è ritrovato davanti per testimoniare sulla trattativa Stato-mafia, e ha ricordato quando Cosa Nostra voleva far la pelle a lui e a Spadolini. Nemmeno ieri, quando Repubblica ha rivelato che una fonte “molto attendibile” ha raccontato (con le stesse parole di un’altra fonte che nel giugno ’92 preannunciò la strage di via D’Amelio) che “a Palermo è già arrivato il tritolo per Di Matteo”. Due mesi fa anche il Pg Roberto Scarpinato, che sostiene l’accusa nel processo d’appello al gen. Mori per la mancata cattura di Provenzano, ha subìto minacce gravissime: uomini del cosiddetto “Stato” si sono introdotti nel suo ufficio e nel corridoio antistante per lasciare una lettera di avvertimenti sulla sua scrivania e la scritta “Accura” (attento) sulla porta di fronte alla sua stanza, nella certezza di non essere ripresi dalle telecamere di sorveglianza. Diversamente dai due marò, questi magistrati non hanno diritto alla solidarietà del capo dello Stato, forse perché non sono accusati di duplice omicidio. Le tv perlopiù ignorano queste notizie e i giornali, quando ne parlano, le trattano come normale routine. Anzi, su Libero si leggono articoli infami che irridono a quei magistrati in pericolo come se le minacce e le condanne a morte se le inventassero loro. E sul Foglio, già noto per aver beatificato gli Squillante e i Carnevale, è partita un’ignobile campagna perché a Palermo arrivi un nuovo procuratore che assicuri l’isolamento dei pm della Trattativa più ancora di quanto già non facciano molti loro colleghi. A luglio il vecchio Csm si accingeva a nominare l’attuale procuratore di Messina Guido Lo Forte, già braccio destro di Caselli ai tempi d’oro degli arresti di centinaia di boss e dei processi Andreotti, Dell’Utri, Contrada, che in commissione si era imposto con tre voti su Sergio Lari, procuratore di Caltanissetta, e Franco Lo Voi, ex rappresentante italiano a Eurojust, che avevano raccolto un solo voto a testa perché meno titolati (soprattutto Lo Voi, che ha 9 anni meno degli altri due e non ha mai diretto un ufficio giudiziario). Ma intervenne a gamba tesa il Quirinale con un’incredibile lettera del segretario Donato Marra, che bloccò la nomina imponendo – fatto mai accaduto – di dare la precedenza ad altre 25 sedi giudiziarie vacanti: cioè di seguire un inedito “ordine cronologico”, partendo dal fondamentale Tribunale dei minori di Caltanissetta. Ora il Foglio – non smentito da nessuno – rivela che il vicepresidente del nuovo Csm, l’ex sottosegretario di Renzi Giovanni Legnini, “deve interpretare un indirizzo che arriva da Palazzo Chigi” e dal Colle: “imporre discontinuità con l’attuale gestione di matrice ingroiana” con “l’affermazione di uno degli ultimi due candidati (Lari, grande critico dell’impostazione data alla trattativa Stato-mafia, è favorito ma la partita è aperta)”. Lo chiedono “i figli del Nazareno”. Quindi: il governo vuole scegliersi il procuratore di Palermo in barba alla Costituzione e alla divisione dei poteri; pretende che sia il più lontano possibile dai pm che rischiano la pelle col processo sulla Trattativa; e il Csm, che dovrebbe tutelarli, deve isolarli vieppiù. Come accadde a Falcone prima dell’Addaura e di Capaci e a Borsellino prima di via D’Amelio. La trattativa è viva e lotta insieme a loro. Se il Csm non avrà uno scatto d’orgoglio per respingere queste ributtanti pressioni, ci sarà solo da vomitare.
di Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano 13.11.2014