Di tutti i tratti del berlusconismo che Matteo Renzi portava in sé ne mancava uno: il vittimismo, e di questo ogni giorno ringraziavamo il Signore. Purtroppo dall’altroieri – il celebre discorso bresciano agli industriali – questa lacuna è stata colmata e abbiamo appreso dalla viva voce del premier che se le cose non procedono fluide su un tappeto di rose tra due ali di folla festante è perché esiste un “disegno” per spaccare l’Italia e il mondo del lavoro. Da un lato gli industriali che gli battono le mani, dall’altro i lavoratori un filino inviperiti, un filino manganellati e un filino disperati. In effetti una spaccatura c’è. Ora, naturalmente, il complotto è una componente fissa della vita politica italiana, una specie di variabile indipendente, e serve essenzialmente a una cosa: a giustificarsi in casi di difficoltà. Chi partecipi al complotto per dividere il paese è difficile dire. Fiom e Cgil, ovvio, quei cattivi. Poi, forse, l’Istat, che periodicamente butta secchiate di acqua gelata sull’ottimismo sfrenato del Premier. Poi forse Bankitalia , che dice che il Tfr in busta paga è una bella pensata, sempre se non vi interessa un giorno prendere una pensione decente. Ci metterei anche il Pil, quel bastardo, che non vuole crescere. E magari ci metterei gli studenti, quelli che il governo vuole “ascoltare”, ma appena si fanno sentire vengono trattati come minus habens che scendono in piazza per saltare l’ora di latino (una cosa, questa, così innovativa che la sento dire da quando andavo all’asilo).
Se c’è un disegno contro Matteuccio nostro, diciamolo,
i disegnatori sono davvero parecchi.
Oppure c’è un disegnatore solo, che è la realtà dei fatti.
E persino i malati di Sla, quelli che andavano di moda quest’estate quando volavano secchiate gelide di propaganda e sono passati di moda in autunno, quando si è deciso di tagliare 100 milioni per la loro assistenza. Insomma, se c’è un disegno contro Matteuccio nostro, diciamolo, i disegnatori sono davvero parecchi. Oppure c’è un disegnatore solo, che è la realtà dei fatti. E per quanto l’ottimismo, il sorriso, la sicurezza di sé siano belle cose, non si è mai visto al mondo che vincessero contro la realtà. E va bene, c’è un complotto. Il primo effetto di questa accorata denuncia è che il giovane affabile Renzi perde un po’ il sorriso e mette su la ghigna cattiva. Di colpo tutte le belle frasette da Baci Perugina sul futuro scompaiono e si mostra la faccia dura. E va bene anche questo. Ma intanto, la realtà continua a complottare. Perché la vulgata renziana per cui si toglie qualche diritto qui e là (chiamandolo “privilegio”) per darne di più a tutti, si sta un po’ indebolendo. Cioè, la prima parte funziona a meraviglia, ma la seconda non si vede nemmeno all’orizzonte. Come dice il suo collega di partito D’Attorre (probabilmente complotta anche lui), senza risorse aggiuntive per gli ammortizzatori sociali “Il Jobs act si riduce all’abolizione dell’articolo 18 e a una montagna di chiacchiere”. Forse è questo che irrita: che le chiacchiere non bastino più come ammortizzatore sociale o come anestetico. Che qualcuno – qualcuno spronato dalla rude realtà – non ci creda più tanto. Perché le chiacchiere sono una bella cosa quando ci si guadagna, e quando ci si perde sono solo irritanti. Ora qui la situazione del complotto è abbastanza semplice: chi ci guadagna applaude convinto (gli industriali) e chi ci perde comincia a pensare che quei “diritti per tutti” non arriveranno tanto presto, o forse non arriveranno mai. Il nuovo, così lucido e fiammante, così glamour e moderno, se lo guardi da vicino ha qualche macchia di ruggine. Mah, sarà un complotto.
Alessandro Robecchi
Il Fatto Quotidiano 05.11.2014