Che nostalgia. Nostalgia del Renzi che vinceva – nel partito, nel paese e nelle urne (europee) – promettendo più democrazia, più pulizia, più trasparenza e più partecipazione per uscire insieme dalla crisi. Nostalgia del Renzi che non cercava scuse né alibi e si assumeva preventivamente ogni responsabilità: “Se falliremo, sarà soltanto colpa mia”. Otto mesi a Palazzo Chigi sono bastati a trasformarlo nel suo contrario: izneR oettaM, l’Ogm di se stesso, una via di mezzo fra un ducetto e una macchietta che ogni giorno si fa nuovi nemici e, se non li trova, se li inventa. Il tutto per cercare di frenare una crisi di consensi che comincia a notarsi pure nei sondaggi, conseguenza inevitabile di promesse al vento, logorrea smodata, arroganza rancorosa, ignoranza al potere e risultati catastrofici. La notte delle Europee, quelle del suo 40,8%, mi capitò di dire in collegamento con La7 che gli italiani avevano trovato il nuovo “uomo solo al comando”. Ora lo scrive anche Scalfari. E Renzi, come sempre gli capita dinanzi a quei rari giornalisti non genuflessi, ha subito preso cappello: “Qui non c’è un uomo solo al comando, c’è un intero Paese che vuol cambiare”. Il che è vero, ma sul modo di cambiare e sul concetto di intero Paese bisognerebbe intendersi. L’intero paese non è il 40,8% dei votanti, specie in un’elezione europea dove vota appena il 57,2% degli aventi diritto. Se gli regalassero un pallottoliere, Renzi scoprirebbe che anche nel suo momento di massimo consenso – fine maggio – ha preso meno voti di Veltroni nel 2008, quando il Pd sconfitto da B. totalizzò il 33,2. Da allora è riuscito a sfanculare o inimicarsi sindacati, magistrati, costituzionalisti, senatori, deputati, mezzo Pd, lavoratori dipendenti, statali e privati, precari o fissi, l’Economist e persino un imprenditore come Della Valle. Infatti ora, prima di visitare una fabbrica, deve farla svuotare di tutti gli operai e portarsi appresso la forza pubblica armata di manganelli. Gli unici che l’applaudono sono – oltre ai maggiordomi e alle veline leopolde – Marchionne, Squinzi, Berlusconi e Verdini. Governa con piglio ducesco come se avesse una maggioranza oceanica, mentre senza il premio incostituzionale del Porcellum non avrebbe i numeri al Senato e neppure alla Camera. E anche sommando le percentuali delle elezioni europee, Pd, Ncd e quel che resta dei montiani, la coalizione di governo arriva al 46,4%, ben al di sotto della maggioranza. Numeri che dovrebbero suggerire estrema cautela: invece lui riforma la Costituzione e commissaria il Parlamento a botte di decreti da convertire subito, senza fiatare, piaccia o non piaccia, o mangi ‘sta minestra o voli dalla finestra, con continue fiducie (la prossima è sul Jobs Act), fra gli applausi del presunto garante della Costituzione Giorgio Napolitano. Sotto la minaccia di non essere ricandidati e dunque di doversi trovare un lavoro, malpancisti e oppositori interni gli votano tutto. Forza Italia fa l’opposizione di Sua Maestà e, nel 90-95% dei casi, vota col governo. Eppure l’uomo solo al comando, che nel Paese non rappresenta neppure la metà dei cittadini ma nel Palazzo fa il bello e il cattivo tempo senza incontrare ostacoli, continua a dipingersi come il piccolo fiammiferaio solo contro tutti. Ieri s’è inventato l’ultimo complotto: “C’è un disegno per dividere il mondo del lavoro, per fare del lavoro il luogo dello scontro. Vogliono contestare il governo? Cambiare il presidente del Consiglio? Lo facciano, ma non usino il mondo del lavoro come un campo di gioco di una partita politica, sfruttando il dolore dei disoccupati”. Verissimo: l’Italia la sta spaccando qualcuno che definisce i licenziamenti “un diritto degli imprenditori”, ospita alla Leopolda un finanziere che vuole levare il diritto di sciopero ai dipendenti pubblici, giurava che l’articolo 18 non era un problema e poi lo abolisce, si circonda di evasori e corruttori e non muove un dito contro l’evasione e la corruzione, tratta B. e Verdini coi guanti di velluto e Camusso e Landini a pesci in faccia. Solo che quel qualcuno è il suo nuovo lui: izneR oettaM.
Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano 04.11.2014