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Alla Fiera dell’Est

afghanLa politica dell’Occidente in Medio Oriente ricorda sempre più la filastrocca di Branduardi Alla fiera dell’Est. E venne l’acqua che spense il fuoco che bruciò il bastone che picchiò il cane che morse il gatto che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò. Ieri con la frettolosa, quasi furtiva decisione delle commissioni Esteri e Difesa di allinearsi – senza il voto del Parlamento – agli Stati Uniti inviando armi ai peshmerga curdi contro i jihadisti sunniti dell’Isis, si aggiunge un’altra strofa al macabro calembour. Tutto cominciò nel 1979, con l’invasione sovietica dell’Afghanistan: americani e occidentali armarono e foraggiarono i mujaheddin, considerati partigiani per una giusta causa, la resistenza all’Armata Rossa. Coi resti di quei soldi e di quelle armi, una volta respinti i russi e attaccati dall’Occidente con la scusa della lotta ad al Qaeda dopo l’attentato alle Twin Towers (commesso non da talebani, ma per lo più da sauditi), gli afghani presero a combattere gli occidentali e diventarono terroristi. Risultato: anziché portare la democrazia a Kabul, abbiamo consegnato l’Afghanistan a talebani, che prima del nostro arrivo stavano sui coglioni a gran parte della popolazione, mentre ora sono popolarissimi. Intanto un po’ più in là, tra il 1980 e l’88, si era combattuta la guerra tra l’Iran degli ayatollah sciiti e l’Iraq di Saddam Hussein, tiranno laico ma statua saddamfilo-sunnita. Usa e Occidente stavano ovviamentecon Saddam. Lo armavano fino ai denti contro i terroristi iraniani. E chiudevano un occhio, anzi due quando sterminava – anche con le nostre armi – i curdi iracheni in combutta con la Turchia, nostra alleata di Nato. Poi decisero che anche Saddam era diventato un terrorista: nel ‘90 l’attaccarono con tutta la Lega Araba per costringerlo a ritirarsi dal Kuwait, nel 2003 lo riattaccarono per levargli le “armi di distruzione di massa” che noi stessi gli avevamo fornito, recidere i suoi legami con Bin Laden (inesistenti: i due si erano condannati a morte a vicenda), destituirlo, impiccarlo e riportare la democrazia pure a Baghdad. Lì, fra l’altro, svernava suo gradito ospite il terrorista palestinese in pensione Abu Abbas, che nel 1985 aveva sequestrato la nave Achille Lauro e assassinato l’ebreo paralitico americano Leon Klinghoffer e che il governo Craxi aveva gentilmente sottratto alla giustizia italiana e americana a Sigonella per riconsegnarlo alla chetichella al suo padrone Saddam.

I risultati della democratizzazione forzata dell’Iraq sono noti: gli sciiti rialzano la testa, scoppia la guerra civile con i sunniti e, per contagio, esplode anche la Siria con stermini ordinati dal tiranno Assad. Che però è laico e dunque buono per noi, che infatti non muoviamo un dito. Effetto collaterale multiplo: tra Siria e Nord Iraq nasce il Califfato Islamico col braccio armato Isis, una legione straniera di 30 mila uomini reclutati fra i più estremisti degli estremisti sunniti di Iraq, Siria, Libano, Somalia ed Europa, ferocissimi contro le altre confessioni: cristiani, ebrei, sciiti, curdi e yazidi. Per difenderli, idea geniale: armarli contro chi avevamo armato o non avevamo disarmato prima. Ricordate Abdullah Öcalan? Sbarcò in Italia dalla Russia nel ‘98, sotto il governo D’Alema con l’appoggio dei Comunisti italiani: leader del Pkk, il partito indipendentista dei curdi di Turchia, chiese asilo politico a Roma. Ma, su pressione di Usa e Turchia che lo consideravano un terrorista, fu spedito in Kenya e lì catturato dai servizi di Ankara che lo rinchiusero in galera, dove fu condannato a morte, pena poi commutata in ergastolo. Ora altro contrordine: i curdi non sono più terroristi, ma di nuovo combattenti per la libertà. Almeno quelli iracheni (quelli turchi non si sa). Tant’è che imbracceranno fucili made in Italy. Gli aiuti umanitari invece se li scordano: il governo Renzi che manda mitra e altri ammennicoli, ha appena derubricato l’Iraq da paese “prioritario” a “non prioritario” per la cooperazione allo sviluppo. Niente cibo, né medicine, né fondi, né ospedali, né progetti di ricostruzione: solo armi. Fortuna che il nostro esercito le considera obsolete, perché prima o poi ci spariamo sui piedi.

di Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano 21.08.2014

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