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L’AUTOGOL DI RENZI: BLOCCATI GLI INVESTIMENTI DEI COMUNI

verdini_renziDAL 1 LUGLIO LE CITTÀ NON CAPOLUOGO DEVONO PER FORZA RIVOLGERSI A CONSIP, CHE PERÒ NON È ATTREZZATA: PERSINO IL PIANO SCUOLA RISCHIA DI FALLIRE.

Quando si parla della fretta di Matteo Renzi, di una sua certa tendenza al superomismo da bar di provincia e a governare a colpi di piccoli slogan un grande Paese sembra si parli di critiche astratte, che il giudizio estetico faccia premio sul pragmatismo necessario al difficile compito dell’amministrazione. La storia che andiamo a raccontare dimostra il contrario: quei difetti comportano malgoverno e persino una certa schizofrenia. Mentre, infatti, l’esecutivo si batte in Europa (senza molto successo, per ora) per assicurarsi maggiore flessibilità nella spesa per investimenti, in Italia ha paralizzato di fatto la spesa in conto capitale (cioè gli investimenti) dei Comuni. Nota bene: coi consumi delle famiglie fermi per povertà o incertezza nel futuro, la domanda pubblica è l’unico volano di crescita possibile. Il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan e la Ragioneria generale sanno quanto serva a questo Paese.
CHE LA SITUAZIONE sia questa non lo dice Il Fatto Quotidiano, ma una lettera inviata dall’Anci (l’associazione dei comuni) ai ministri dei Trasporti, dell’Economia e degli Affari regionali: c’è una norma, scrivono i sindaci, che “sta provocando il sostanziale blocco delle gare d’appalto, paralizzando anche attività già in parte avviate dai Comuni”. Il paradosso è che la legge denunciata dall’Anci è il decreto Irpef, quello con cui Renzi ha dato gli 80 euro ai redditi medio-bassi: in quel testo, infatti, oltre a un folle taglio da 2,1 miliardi agli acquisti di Stato, Regioni e Comuni per il 2014, si prevede anche che le stazioni appaltanti scendano da 35mila a 35 in un paio d’anni (al proposito, il premier usò anche la relativa slide).slide_scuola

E come si fa a fare questa rivoluzione? Di fretta. Dal primo luglio infatti – prevede il decreto – i Comuni non capoluogo(cioè quasi tutti) hanno il divieto di acquisire lavori, servizi e forniture in assenza di una Centrale unica di committenza. Le nuove stazioni appaltanti dovrebbero essere certificate da un’apposita anagrafe unica: di diritto vengono iscritte la Consip e le centrali regionali. Risultato: al momento l’unico modo è rivolgersi a Consip, visto che le altre centrali non esistono ancora. Peccato, denuncia l’Anci, che Consip non sia attrezzata per garantire – in tempi rapidi – le piccole gare di cui hanno bisogno i Comuni non capoluogo: tutto bloccato.
Tutto cosa? Potrebbe chiedersi il lettore. La risposta illustra meravigliosamente l’eterogenesi dei fini del governo degli slogan: sono fermi gli appalti per usare i fondi europei, la manutenzione generale e – dulcis in fundo – l’edilizia scolastica, il piano per rimettere in sicurezza le scuole annunciato in pompa magna dal premier e che dovrebbe concludersi entro il 31 ottobre.

Il presidente dell’Anci, Piero Fassino, ha chiesto che il governo intervenga con un decreto ad hoc e ai ministeri interessati di emanare subito una circolare che consenta “ai Comuni di continuare a svolgere le funzioni istituzionali, in considerazione dell’insussistenza di un congruo periodo di tempo per applicare la nuova previsione”. Dalle parti di palazzo Chigi, però, non ci sentono e allora toccherà alla maggioranza provvedere con un emendamento nel decreto Competitività o in quello sulla pubblica amministrazione che fa slittare la nuova disciplina al primo gennaio prossimo per l’acquisto di beni e servizi e al primo luglio 2015 per l’acquisto di lavori. A Montecitorio Dario Ginefra, deputato pugliese del Pd, ieri ha lanciato un appello a favore dell’emendamento proposto da Anci: a sera avevano firmato 70 democratici.

di Marco Palombi
Il Fatto Quotidiano 10.07.2014

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