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Irrealistici i numeri di Renzi In autunno c’è la manovra

Renzi-PadoanCominciamo coi fatti. Il Pil italiano nel primo trimestre 2014 ha già cumulato una variazione negativa dello 0,2%. Lo dice l’Istat. Questo fa sballare tutti i conti su cui il governo ha basato la sua politica economica: il +0,8% inserito da Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan nel loro Documento di economia e finanza (Def) rischia di essere solo un sogno e persino il +0,6% previsto dalla Commissione Ue sembra ottimistico. L’istituto fondato da Romano Prodi, Nomisma, sostiene ad esempio che anche “scontando rialzi nei prossimi trimestri l’incremento del Pil nel 2014 è dello 0,2-03%”. Insomma, almeno mezzo punto meno rispetto alle stime dell’esecutivo: ne consegue che anche gli altri numeri – rapporto deficit/Pil e debito/Pil su tutti – sono scritti sulla sabbia.

IL GOVERNO ieri ha fatto una sorta di gara a sminuire la cosa. “Ovviamente il dato ci preoccupa, ma ci stimola a fare di più”, ha sostenuto ad esempio il sottosegretario all’Economia Giovanni Legnini: “Il rallentamento, come è noto, è su scala europea, il nostro paese ne ha risentito di più, ma è arbitrario e pretestuoso attribuire questa notizia al governo”. Più colorito il viceministro Enrico Morando: “Colpa del governo? È un’evidente cazzata”.

Il punto, però, non è che sia colpa del governo, ma quanto questi numeri mettano in crisi il teatrino messo in piedi da Matteo Renzi in queste settimane: i 10 miliardi di euro l’anno di sgravi Irpef da confermare per il 2015 e estendere anche a incapienti e partite Iva, più un’operazione (finora un po’ fumosa) per aumentare le pensioni minime. Il tutto condito col dogmatico rispetto dei vincoli di bilancio del Fiscal Compact accennato ancora ieri da Padoan via Twitter. Troppa roba se il Pil italiano, alla fine, sarà mezzo punto meno di quello stimato: in quel caso servirebbe recuperare una cifra compresa tra i 4 e i 5 miliardi con tagli e/o tasse solo per rispettare gli impegni presi sul pareggio strutturale di bilancio.  Al momento, piuttosto che affrontare la realtà, al Tesoro e a palazzo Chigi preferiscono la vecchia cara rimozione e sembrano nutrire una fiducia messianica nei famosi 80 euro al mese in busta paga. “Questo dato non è affatto sorprendente, il motivo per cui il governo ha accelerato è perché sapeva che la crisi non era finita, ma il Paese sta reagendo, vediamo la tendenza della ripresa e abbiamo fiducia nelle misure che abbiamo messo in campo”, spande ottimismo Graziano Delrio, braccio destro di Renzi.
SORRIDONO al futuro pure al ministero dell’Economia: “Ci aspettiamo che il taglio dell’Irpef abbia un effetto positivo sull’andamento dell’economia con la ripresa dei consumi e, allo stesso tempo, siamo sicuri che, durante la presidenza italiana, l’Ue darà una svolta alle politiche per la crescita e l’occupazione”. A parole, insomma, sono tutti rassicuranti, quando scrivono un po’ meno: secondo lo stesso governo infatti – lo si legge proprio nella relazione tecnica all’ultimo decreto – l’impatto degli sgravi Irpef da 80 euro al mese sulla crescita per il 2014 è zero. C’è scritto proprio così: zero. Anche il decreto lavoro appena approvato, in una crisi di domanda come la nostra, ha poche speranze di ottenere effetti, mentre vanno calcolati invece quelli dei tre miliardi di tagli di spesa pubblica previsti per quest’anno (2,1 miliardi dei quali di acquisti, cioè di domanda diretta alle imprese), che diventeranno addirittura 17 l’anno prossimo e 32 miliardi nel 2016. “Bella domanda, ma non lo sappiamo”, hanno risposto tempo fa al ministero dell’Economia (eppure, applicando i moltiplicatori che usano tanto il Fmi di Carlo Cottarelli che l’Ocse di Padoan si saprebbe che si tratta di una manovra incredibilmente recessiva).
INSOMMA, PASSATE le Europee, archiviati i dati del secondo trimestre, tra agosto e settembre il governo dovrà ufficializzare il fatto che i conti non tornano: è probabile, ammettono fonti di maggioranza, che con la Legge di Stabilità, a ottobre, arriverà la manovra correttiva per rimettere sul giusto binario il bilancio dello Stato. Usare la leva della tassazione è escluso tanto per volontà politica che per le decine di mine già inglobate nei conti pubblici sotto forma di “clausole di salvaguardia” (dall’aumento delle accise a quello della fiscalità locale).
La cosa più probabile, insieme a un’accelerazione della spending review, è la vendita accelerata di pezzi del patrimonio pubblico (il decreto sulle società quotate è in arrivo), per mettere almeno una pezza sul 2014, Bruxelles permettendo. Sempre che il Servizio Bilancio del Senato non abbia ragione sulle coperture degli 80 euro: la faccenda, a quel punto, si farebbe davvero complicata.

Redazione
Il Fatto Quotidiano 16.05.2014

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