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Ricerche petrolifere contro gli acquiferi

bacini_imbriferiRelazione del geologo Sabino Aquino
La provincia di Avellino, riveste un ruolo strategico nell’ambito della gestione e del coordinamento di diversi sistemi idrici dell’Italia meridionale. Sulla base dell’attuale assetto infrastrutturale, le acque dell’Irpinia ricadono, infatti, al centro di un complesso sistema di interscambi interregionali, per quanto concerne il comparto pobabile ed irriguo. I bacini imbriferi irpini, delle aree vallive delle idrostrutture carbonate  (Monte Terminio-Tuoro e Monte Cervialto), accolgono nelle loro viscere acquiferi con potenzialità idrica di oltre 10.000 litri al secondo in media annua, utilizzati per l’approvvigionamento idrico di oltre tre milioni di persone. Infatti, alimentano alcuni tra i più importanti acquedotti italiani (Azienda Risorse Idriche Napoli S.p.A. – Acquedotto Pugliese S.p.A e Alto Calore Servizio S.p.A.) per l’approvvigionamento potabile delle regioni Campania, Puglia e Basilicata, per un bacino di circa 4 milioni di utenti. In questo quadro, la ricerca di idrocarburi, liquidi e gassosi, con esplorazione del suolo attraverso trivellazioni profonde, rappresenta un serio rischio per le acque sotterranee a causa delle tecniche stessi di ricerca e sviluppo e delle notevoli quantità di sostanze ad alto potenziale inquinante che vengono movimentate. Tali sostanze includono, gli idrocarburi fluidi movimentati, le acque salate connesse ai giacimenti, i fanghi di perforazione, le acque immesse in profondità a scopo di migliorare il recupero del petrolio e/o allo scopo di contrastare la subsidenza indotta per Petrolio3decompressione dei giacimenti. In fase di trivellazione per indagini ma anche per la realizzazione del pozzo petrolifero si devono necessariamente utilizzare notevoli quantitativi di fanghi e fluidi perforanti con sicuri travasi di questi fluidi nelle falde idriche che alimentano i pregiati e cospicui gruppi sorgivi emergenti. A ciò, va aggiunto che, una volta individuato il serbatoio petrolifero sotterraneo, per estrarre il greggio, gli operatori iniettano nel suolo con notevoli pressioni liquidi contenenti acqua mista a sostanze chimiche. La pressione creata, fa risalire il petrolio in superficie, mentre le sostanze inquinanti riempiono l’area sottostante. Le rocce presenti in sito non essendo completamente impermeabili lasciano filtrare parte del liquido che penetra così negli acquiferi (utilizzati a scopo idropotabile) profondi pregiudicandone seriamente la originaria purezza nonché le caratteristiche chimico-fisiche e batteriologiche. Alle situazioni connesse con la fase di sfruttamento dei giacimenti di olio e gas altre e forse più pesanti se ne aggiungono quando i giacimenti, oramai esauiti, ed i pozzi che li sfruttavano vengono abbandonati. In alcune aree, infatti i pozzi petroliferi abbandonati hanno causato seri inquinamenti delle acque sotterranee. Essi, in generale, attraversano più acquiferi e terminano nello strato del giacimento e, in caso di rivestimento insufficiente, mal fatto o deteriorato, si trasformano in connettori. Le acque salate associate ai giacimenti o reimmesse, acque inquinate provenienti dalla superficie, residui di idrocarburi liscivati vanno ad inquinare le acque sotterranee di buona qualità connesse. A ciò va anche aggiunto che la realizzazione di un pozzo, soprattutto di notevole profondità, che interessa acquiferi profondi (indipendentemente da tutti gli accorgimenti tecnici utilizzati in fase di realizzazione dello stesso) può consentire comunque il passaggio dell’acqua e molto spesso degli inquinanti da una falda più superficiale a una falda più profonda. Questo in virtù di diverse ragioni: l’assenza o non perfetto condizionamento del pozzo in fase di cementificazione, l’incuria, l’incapacità nella esecuzione di certe operazioni, l’impossibilità di eseguire e controllare taluni interventi prescritti il rischio inquinamento per gli acquiferi irpini non è rappresentato solo dalle trivellazioni per ricerca e captazione dell’idrocarburo ma anche dalle infrastrutture che dovranno realizzarsi successivamente alla individuazione del petrolio per il trasporto dello stesso alle raffinerie. Le condutture ed i sistemi di condotte che sono utilizzate per trasportare i prodotti petroliferi e i gas naturali sono i più soggetti a perdite, nonostante tutti gli sorgenteaccorgimenti che vengono impiegati nella loro progettazione e realizzazione. Queste infrastrutture di collegamento hanno sviluppi di centinaia di chilometri, impegnano situazioni topografiche, idrografiche e idrogeologiche anche molto diverse costituendo ovunque un elemento di notevole pericolosità potenziale. La loro posa in opera nel sottosuolo comporta sempre una scarificazione notevole del terreno in sito e la realizzazione nell’insaturo e, abbastanza spesso, nella zona satura dell’acquifero. Le perdite causate da deterioramento (corrosione), dalla rottura o da cedimento di tali tubazioni provocano la fuoriuscita dei liquidi, spesso altamente inquinanti, ed conseguente inquinamento delle acque sotterranee soggiacenti. Altre cause di perdite nelle tubazioni sono le saldature, difettose, sovrapressioni indicentali, dal traffico pesante, frane e sprofondamenti. Senza poi trascurare le vibrazioni indotte al suolo dai terremoti in aree come quella irpina classificata ad elevata sismicità.

Sabino Aquino geologo
esperto nel campo della Idrogeologia e della Geologia Applicata ed Ambientale

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