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IL 2 MAGGIO DI RENZI SUL LAVORO CEDE A NCD, “SCOPERTI” GLI 80 EURO

decreto lavoroNIENTE OBBLIGO DI ASSUNZIONE PER CHI USA TROPPI PRECARI IN AZIENDA: BASTERÀ PAGARE UNA MULTA. I TECNICI DEL SENATO BOCCIANO LE COPERTURE SUL DECRETO IRPEF: SONO INCERTE.

 Brutta giornata in Parlamento quella di ieri per il governo Renzi. Da un lato, le modifiche al decreto Lavoro presentate ieri in Senato dal ministro Giuliano Poletti sono una resa al potere di ricatto di Nuovo Centro Destra (silente la cosiddetta sinistra Pd); dall’altro, i tecnici del Servizio Bilancio certificano che un bel pezzo delle coperture del decreto Irpef – quello degli 80 euro per capirci – sono scritte più o meno sulla sabbia.
PARTIAMO dal successo di Maurizio Sacconi, alfaniano ed ex ministro del Lavoro con Silvio Berlusconi. Il testo del governo, infatti, si modifica secondo i suoi diktat: meno vincoli alle imprese, maggiore flessibilità per i lavoratori. Sparisce, ad esempio, l’obbligo di assumere per gli imprenditori che abusino dei contratti a termine (cioè li utilizzino per oltre il 20 per cento della forza-lavoro a tempo indeterminato): gli basterà pagare una multa per cavarsela. L’obbligo di stabilizzare il 20 per cento degli apprendisti dopo 36 mesi di contratti a termine prima di assumerne altri, per dire, varrà per le imprese sopra i 50 dipendenti (prima era trenta). Pure la formazione degli apprendisti potrà essere pubblica, ma la regione potrà anche devolvere l’intera questione a imprese o associazioni datoriali.
All’ingrosso, insomma, tutte le richieste di Nuovo Centrodestra che alla Camera non erano passate per il no del Pd, che aveva chiesto in cambio di una ulteriore apertura alla precarietà la possibilità di rinnovare al massimo i contratti a termine non per cinque volte (come prevede ora il decreto), ma per quattro. Decisamente la festa del lavoro era finita ieri in Senato: questo decreto, infatti, non ha alcuna speranza di creare nuova occupazione, ma moltissime di peggiorare la situazione di chi lavora (o lavoricchia) già.
Anche la preziosa operazione sull’Irpef del premier non ha vissuto una bella giornata ieri a palazzo Madama: il Servizio Bilancio ha fatto letteralmente a pezzi il decreto, dando finalmente sostanza a quelle preoccupazioni che avevano spinto Giorgio Napolitano a convocare il ministro Pier Carlo Padoan al Colle per “ulteriori chiarimenti”.
Intanto gli 1,8 miliardi garantiti  – secondo il governo – dall’aumento della tassazione sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia potrebbero cadere sotto il peso del contenzioso: per i tecnici del Senato, infatti, è incostituzionale. In sostanza, decidere ex post che le banche dovranno sottoporsi a un’aliquota sulle plusvalenze del 26% (anziché del 12) e pagarla entro dicembre (anziché in tre anni) viola “quell’esigenza di anticipata conoscenza da parte del contribuente del carico fiscale posto sulle proprie attività economiche con conseguente possibile violazione di precetti costituzionali”.
IL SERVIZIO BILANCIO è orripilato pure dalle coperture da “evasione fiscale”: 300 milioni quest’anno e addirittura due miliardi nel 2015 nonostante non esista “alcuna informazione in ordine a eventuali strumenti o metodologie che si ipotizza di utilizzare per il raggiungimento dell’obiettivo”, né si prevedono “specifici interventi o azioni nel caso in cui il risultato non fosse raggiunto”.
Pure sull’extragettito Iva dovuto al pagamento dei debiti della P.A. (650 milioni) i tecnici del Senato hanno qualche dubbio e sulla riduzione dell’Irap assai di più: il governo, infatti, ritiene che il costo dell’operazione sia di circa due miliardi nel 2014, mentre il mancato gettito sarà “più significativo” e, peraltro, destinato a peggiorare negli anni (al contrario di quanto scrive l’esecutivo nella Relazione tecnica). Peraltro, è l’altra contestazione, la fonte di copertura – cioè la maggiore tassazione sulle rendite finanziarie, conti correnti compresi – è calcolata senza tener conto della possibilità che molti investitori scelgano forme di risparmio tassate di meno. Tradotto: i ricavi forse sono sovrastimati. Quello che non possono scrivere i tecnici di palazzo Madama, lo formalizza Renato Brunetta: “La manovra correttiva è sempre più vicina”. Meno delle elezioni, però.
di Marco Palombi
Il Fatto Quotidiano 03.05.2014

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