Quindi ci sono davvero tutti, dentro: dalle cooperative rosse (Poletti) a Confindustria (Guidi); da Comunione e Liberazione (Lupi) alla Banca Mondiale (Padoan); dall’antimafia (Lanzetta) alla non-certo-antimafia (Alfano).
E poi: dalla quota Udc (Galletti) a quella Monti (Giannini), dall’area perdente del Pd (Orlando, noto esperto di giustizia) ovviamente a quella vincente (Renzi-Del Rio-Boschi) passando per quella dei voltagabbana più recenti (Franceschini-Madia-Mogherini). Assai furbesca anche la captatio benevolentiae verso la corrente Civati, sempre con la nomina di Lanzetta che di quella componente, se non sbaglio, era considerata parte.
Giubilati i ministri migliori del precedente governo – Bray e Bonino – perché siamo tutti meritocratici col culo degli altri, poi però alla bisogna ci si affida alla convenienza o alla fedeltà personale.
Notevole alla Difesa Roberta Pinotti, nota per essere arrivata terza alle primarie di Genova e per essere favorevole agli F35.
Ah, Alfano ha stravinto: gli Interni voleva e agli Interni è rimasto. Ma questo lo si capiva già stamattina dopo il vertice notturno, quando aveva parlato di “incontro costruttivo” sorridendo con tutti i denti. Probabile che ottenga anche un congelamento dell’Italicum, anteponendogli la più lenta riforma del Senato.
Si tratta comunque, con ogni evidenza, di un governo di ‘unità nazionale’. Nel senso appunto che si sono uniti tutti gli establishment di cui sopra.
Succede, quando si sta in trincea, di abbracciarsi per scacciare la paura.
di Alessandro Gilioli
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