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Austerità mascherata inseguendo la crescita

matteo-renzi-80-euro-busta-pagaIL PREMIER PENSA ALLE ELEZIONI MA L’EFFETTO NEGATIVO DEI TAGLI COMPENSERÀ LA SPINTA POSITIVA DELL’INTERVENTO SULL’IRPEF.

Ora che il provvedimento dei famosi 80 euro in più in busta paga è arrivato, la domanda obbligata è: a che cosa serve? Basterà a consolidare quella “ripresa che già c’è ed è fragile”, come dice il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan?    È chiaro che il taglio dell’Irpef ha ragioni elettorali prima che economiche. Lo ha confermato di fatto lo stesso premier Matteo Renzi: piuttosto che rimettere in discussione la cifra tonda promessa, abbassandola di poco, ha bocciato l’ipotesi di allargare la platea dei beneficiari agli “incapienti”, cioè a chi guadagna così poco da non pagare le tasse e quindi da non trarre alcuna utilità da un calo dell’Irpef. Traduzione politica: Renzi vuole i voti dei lavoratori dipendenti che guadagnano tra gli 8 e i 26mila euro lordi all’anno, la parte bassa della classe media che il Pd deve riconquistare. Lavoratori autonomi, precari e pensionati restano esclusi. Per i dipendenti ad alto reddito, specie se pubblici o parapubblici, ci sono solo cattive sorprese, con decurtazioni molto pesanti (se mantenute) per tutti quelli che superano i 239mila euro del nuovo tetto massimo fissato per gli stipendi statali. Per intercettare i consensi di chi non riceverà gli 80 euro, Renzi prova a sedurre tagliando gli “sprechi”: dalle auto blu ai contributi pubblici ai giornali per la pubblicità legale ai trasferimenti alla Rai. Il 25 maggio ci sarà l’unico bilancio che interessa a Renzi, quello dei risultati elettorali del Pd.MA LA STIMA DEGLI EFFETTI di queste misure sulla crescita italiana è già nota, nel Documento di economia e finanza presentato dal governo appena approvato dal Parlamento. Il bonus Irpef produrrà un aumento dello 0,1 per cento del Pil nel 2014 e dello 0,3 per cento nel 2015 (ammesso che sia confermato) e dello 0,4 nel 2016. I tagli alla spesa pubblica necessari per trovare le risorse, 6,9 miliardi nel 2014 e ben 14 nel 2015, avranno ovviamente un effetto recessivo, meno soldi spende lo Stato, meno si cresce. E l’impatto sul Pil della spending review sarà -0,1 nel 2014, -0,2nel 2015 e -0,3 nel 2016. Come si vede il saldo finale è praticamente zero. Tradotto: se si misura esclusivamente l’effetto sulla crescita nel suo complesso, tagliare la spesa per abbassare le tasse è inutile, anche se politicamente può avere un senso. Anzi, rischia addirittura di essere dannoso se chi riceve i famosi 80 euro ha l’impressione che si tratti di un bonus concesso una tantum invece che di una riduzione delle tasse permanente. Perché invece di spenderli li terrà da parte per tempi peggiori. E che ci siano i soldi per confermare il taglio dell’Irpef anche nel 2015 è tutto da dimostrare, visto che Renzi ha in parte rinviato la questione alla legge di Stabilità che si discute in autunno. Si può notare, en passant, che il grosso della spinta alla crescita nei prossimi due anni nei piani del governo doveva venire dalla riforma del mercato del lavoro (+0,2 nel 2014 e +0,3 nel 2015), ma in Parlamento gli emendamenti anche di maggioranza ne stanno già smussando gli aspetti più caratterizzanti, cosa che, si suppone, ne ridurrà anche l’impatto economico.IL PRIMO BILANCIO dell’operato di Renzi finora è quello di una politica di austerità mascherata che allenta un po’ la gabbia dei vincoli, quel tanto che basta da ricavare degli spazi di movimento politico, ma senza scardinarla. Il premier ha rinunciato, per ora, a usare la leva del deficit, che resta al 2,6 per cento del 2014, ben al di sotto del tetto del 3 per cento. Ma al contempo nel Def ha indicato che il pareggio di bilancio strutturale (cioè il deficit corretto per gli effetti della recessione) viene rinviato dal 2015 al 2016, nessun taglio nel 2014 e tutto rimandato al 2015. La Commissione ci chiedeva tagli duraturi per 4-5 miliardi all’anno che il governo non ha intenzione di fare. In Francia il nuovo premier Manuel Valls ha visto in Renzi un compagno di lotta contro l’austerità richiesta da Bruxelles e dal Fiscal Compact.   Ma il premier sta dimostrando di non essere un ribelle, o forse il ministro Padoan è stato efficace nel contenerne le intemperanze. La scelta di esautorare il commissario alla revisione della spesa Carlo Cottarelli si sta dimostrando strategica: è lo stesso Renzi a decidere cosa annunciare e come, niente fredde tabelle tecniche ma un approccio totus politicus. I tagli agli statali? Non un sopruso ai danni dello Stato, ma un sano riequilibrio (neanche Silvio Berlusconi sarebbe stato così convincente nel motivare la riduzione dello stipendio dei magistrati). La riduzione dei trasferimenti alle Regioni, l’insostenibile decurtazione dei trasferimenti alla Rai? Non tagli lineari, ma la richiesta che “ciascuno dia il suo contributo”.

I tagli sono recessivi e pesanti come quelli di tutti gli ultimi governi, ma Renzi chiede (e per ora ottiene) che gli italiani esultino per la riduzione della spesa invece che indignarsi come al solito. Nella speranza che la forza del suo ottimismo produca un effetto leva: datemi 80 euro e vi solleverò un Paese decotto. In economia la psicologia conta. Ma non sempre basta.

di Stefano Feltri
Il Fatto Quotidiano 19.04.2014

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