IL MINISTRO DEL LAVORO: PIANO PER 900 MILA GIOVANI. MA È QUELLO DEL GOVERNO LETTA. PER AVERE IL SUSSIDIO DI DISOCCUPAZIONE SI DOVRÀ SERVIRE ALLA CARITAS.
Leggendo l’intervista rilasciata dal ministro del Lavoro a Repubblica, e offerta con grande risalto ai lettori, si ha tutta la sensazione del bluff. Giuliano Poletti, infatti, non riesce a resistere alla tentazione berlusconiana promettendo 900 mila posti di lavoro in 24 mesi come se fosse vero. Soprattutto, come se la promessa poggiasse su atti e intenzioni del governo Renzi e non su quello precedente. Poletti, però, nella foga di fare bella figura si spinge oltre: smentisce una delle promesse principali del Jobs Act, il contratto a tutele crescenti, e aggancia il futuro del sussidio di disoccupazione alla carità cristiana.
I POSTI DI LAVORO . “Un piano lavoro per 900 mila giovani” è l’entusiastico titolo di prima pagina del quotidiano di Ezio Mauro. Il ministro, nell’intervista, utilizza parole più sobrie: “Il bacino potenziale è di 900 mila giovani che nell’arco di 24 mesi riceveranno un’opportunità di inserimento”. Tutto è molto più sfumato e lo è perché così funziona il piano che altro non è che la Youth Guarantee, la Garanzia giovani, promossa dall’Unione Europea e già messa a punto dal predecessore di Poletti, Enrico Giovannini. Il governo Letta aveva stanziato, infatti, 1,5 miliardi di euro (750 milioni europei e altrettanti nazionali) per “assicurare ai giovani con meno di 25 anni un’offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato, tirocinio o altra misura di formazione, entro 4 mesi dall’uscita dal sistema di istruzione formale o dall’inizio della disoccupazione”. Il fatto che nell’offerta ci siano apprendistato e tirocinio spiega chiaramente come buona parte dei possibili posti di lavoro non saranno affatto stabili. Le spiegazioni offerte dallo stesso ministero sono ancora più chiare: “Ai giovani che presenteranno i requisiti verrà offerto un finanziamento diretto (bonus, voucher, ecc.) per accedere a una gamma di possibili percorsi, tra cui: l’inserimento con un contratto di lavoro dipendente, l’avvio di un contratto di apprendistato o di un’esperienza di tirocinio, l’impegno nel servizio civile, la formazione specifica professionalizzante e l’accompagnamento nell’avvio di una iniziativa imprenditoriale o di lavoro autonomo”. Tutto questo, inoltre, è stato già predisposto e l’attuale governo lo ha trovato bell’e pronto. Ma il ministro Poletti non ne fa menzione.
IL BLUFF DEL JOBS ACT . Dall’intervista, ma anche dal disegno di legge delega presentato due giorni fa al Senato, si ricava un’altra constatazione: il Jobs Act non è affatto quello che era stato promesso. La novità più rilevante del piano di Renzi, infatti, era la promessa di abolire i vari contratti precari per introdurre un contratto a tempo indeterminato, a tutele crescenti, in cui sacrificare un po’ di diritti per i primi tre anni (innanzitutto, l’articolo 18) in cambio di un contratto stabile. L’ipotesi aveva ricevuto il sostanziale via libera dei sindacati, compresa quella Cgil che con l’attuale governo ha un contenzioso che va oltre il merito delle proposte ma riguarda le relazioni sindacali nel loro complesso. Invece Poletti chiarisce che il contratto a tutele crescenti, che nella legge-delega è previsto in forma “eventualmente sperimentale”, si affiancherà soltanto, e non sostituirà, i contratti a tempo determinato e le altre tipologie lavorative. Che saranno asciugate e razionalizzate ma che vedranno, di fatto, quattro insiemi: il nuovo contratto a tempo determinato, ulteriormente liberalizzato dal decreto in discussione alla Camera; il nuovo contratto a tutele crescenti (quando sarà sperimentato); il classico contratto a tempo indeterminato attualmente in vigore; i nuovi contratti temporanei basati sui voucher, a somiglianza dei mini-jobs tedeschi (come Il Fatto aveva anticipato) e che saranno potenziati. In questo nuovo quadro, il centro di gravità sembra poggiare sui contratti a tempo determinato anche se il responsabile Pd dell’Economia, Filippo Taddei, insiste nel dire che il contratto indeterminato costerà “sensibilmente meno”.
SUSSIDIO DA CARITAS . Mentre il viceministro all’Economia, Enrico Morando, ribadisce la possibilità del salario minimo orario, immaginando “il carcere” per le imprese che non lo rispettino, Poletti fa un nuovo annuncio: il “servizio comunitario” per chi riceverà un sussidio di disoccupazione. Che vuole dire? Ad esempio, “rendersi disponibile a distribuire i pranzi alla Caritas o assistere gli anziani”. Niente a che vedere con i lavori socialmente utili, che facevano ritenere di avere diritti all’assunzione. Qui, di diritti esigibili, non si fa menzione.
di Salvatore Cannavò
Il Fatto Quotidiano 06.04.2014