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La svolta buona è farsi prete

PretiQuei 600 mila giovani italiani che cercano un lavoro e non lo trovano (un milione se aggiungiamo quelli che ormai non lo cercano più), hanno forse una speranza. Non la politica, mestiere faticoso, accidentato benché remunerativo, per cui serve non diremmo una laurea (D’Alema non è laureato) ma almeno una buona dose di cinismo. L’unico porto franco, libero da frustranti tentativi e umiliazioni contrattuali, è la carriera ecclesiastica. Sì, farsi preti. Perché non ci avete ancora pensato? Un breve elenco dei vantaggi a ciò connessi: vitto e alloggio gratis, stipendio dignitoso che si aggira, per i più bassi gradi, intorno ai 1.000 euro (la remunerazione di un ricercatore in Fisica delle nanoparticelle) con indennità supplementare se si insegna religione nelle scuole, senza scordare le prebende rimesse al buon cuore dei fedeli; esenzione da tasse sulla casa e sui servizi, orpelli burocratici, dichiarazione dei redditi, oneri fiscali di ogni tipo, capestri di trattenute, Iva, iscrizioni ad albi, assicurazioni sanitarie; possibilità di carriera ascetica, non solo in senso spirituale ma proprio verticale, lungo l’unica scala mobile ancora funzionante e oliata; un guardaroba di abiti a loro modo eleganti, a volte persino preziosi o, a seconda dei gusti, addirittura pomposi, via via che si sale di grado. Ad aver fortuna, il vostro domicilio sarà ubicato in posti stupendi, un convento in stile gotico sulla via dei Laghi, un bilocale in Prati, una cella ad Assisi, una casupola nella diocesi di Favignana. In cambio, nessun presidente del Consiglio italiano verrà mai a dirvi che dovete pagare l’Imu o la Tasi o qualsiasi altro acronimo che la fantasia del legislatore partorirà. Dite: date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio; ma voi non darete niente a nessuno dei due.

LA VITA DEL PRETE, poi, non è affatto male. Se si è schivi, ci si può dedicare alla lettura nella penombra dei chiostri; se si è spiritosi ci si può far invitare da Giletti o D’Urso a discettare di come va il mondo, e persino di politica, del sesso che si è giurato di non fare, del modo di partorire ed educare i figli che non si avrà, di gestire le ovulazioni di donne di cui non si condivide la vita. Certo, come in tutte le professioni ci sono dei contro, dei sacrifici da fare: alzarsi all’alba per le preghiere, mancare gli anticipi di campionato per il rosario e i vespri, avere a che fare con estreme unzioni e feretri (ma quando volevate fare il chirurgo d’urgenza non sapevate di dover trattare cadaveri?). Il problema, direte voi, è fare tutto questo in assenza di fede: come si fa a portare tutto il giorno una maschera, sorridere quando si vorrebbe azzannare, vendere un prodotto in cui non si crede, fingere amore e dedizione alla causa quando si vorrebbe scappare, disertare,imprecare? Ma, ragazzi, pensateci bene: è esattamente come in qualsiasi altro lavoro. Forse che un promoter di call center “crede” a quello che è costretto a dire per 8 ore al giorno, incessantemente registrato da un orecchio forse ancora più infallibile di quello di Dio? Forse un venditore di aspirapolvere la sera, prima di dormire, si mette a magnificare le qualità ineffabili del filtro o di un sacchetto? Forse un impiegato del catasto non obbedisce al proprio superiore anche se lo ritiene un cretino, e una web manager non deve fare finta di amare il proprio lavoro sopra ogni altra cosa, di essere sposata col suo BlackBerry, ed essere raggiungibile “h24”?

MA VOI NON siete così cinici; vorreste solo riposare un po’ al fresco di un’ombrosa sagrestia. Magari, ecco, scrivere il romanzo della vostra vita. E non è che sia facile, se ogni due per tre dovete recitare un salmo o un Egote absolvo (le confessioni! Quanti spunti di biografie nelle confessioni). Ma qui il discorso cambia: se avete velleità letterarie, la scelta migliore è farvi arrestare. Sì, con un piccolo reato come la detenzione di droghe potete restare in gattabuia qualche mese, spesso sufficienti per scrivere qualsiasi opera che un editore decida di pubblicare. Se volete scrivere Il Conte di Montecristo, vi conviene spacciare (occhio, però: si ristabilirà, pare, la distinzione tra droghe pesanti e leggere): se vi dice bene, vi danno dagli 8 ai 20 anni. Non paga invece il crimine organizzato, la frode fiscale, il concorso esterno in associazione mafiosa. Con le leggi che abbiamo, rischiate di trovarvi a piede libero (e disoccupati) dopo due settimane. O candidati alle elezioni. E stiamo da capo a dodici. Solo a titolo informativo: pare che il vitto e le condizioni igieniche delle carceri non siano proprio il massimo, e comunque niente a che vedere con la sobria eleganza di un convento. Fatevi preti e suore, giovani, è questa ormai la rivoluzione.

di Daniela Ranieri
Il Fatto Quotidiano 18.03.2014

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