LA SUPER-TASI NEL DECRETO, POTRÀ SALIRE L’ALIQUOTA PER COPRIRE LE DETRAZIONI.
Secondo la vulgata passata sui media, Matteo Renzi ha commissariato Ignazio Marino, gli ha sì concesso qualche soldo, ma in cambio gli ha pure imposto “un piano di rientro” che metterà a posto i conti della capitale. Al nuovo premier, insomma, non la si fa: Renzi non può perdere, non può cedere, non può sapere a malapena quel che fa. Fin qui l’agiografia a mezzo stampa, che però ha il difetto di essere menzognera: basta leggere il decreto “salva-Roma” approvato ieri in Consiglio dei ministri per capirlo. Renzi ha mollato il colpo: ha concesso alla capitale gli stessi denari che gli aveva dato Enrico Letta attraverso più o meno le stesse partite di giro e chiedendogli di impegnarsi a fare le stesse identiche cose. I CONTENUTI. In sostanza Marino incassa 570 milioni di euro di crediti vantati dal Commissario straordinario al debito (quello accumulato fino ad aprile 2008), che sono in realtà tributi pagati dai cittadini romani e non fondi della fiscalità generale: questi soldi non vengono conteggiati nel patto di stabilità interno e servono a chiudere le voragini aperte nel bilancio 2013 e in quello di previsione per il 2014. In cambio il Comune di Roma si impegna a fare alcuni tagli di spesa su acquisti di beni e servizi, personale proprio e delle controllate, dismissioni immobiliari e di aziende che non svolgono servizi pubblici: le decisioni in materia andranno inviate al Parlamento e ai ministri dell’Interno e dell’Economia per verificarne l’attuazione. Ecco il famoso piano di rientro, cioè esattamente quello che prevedeva il decreto “salva-Roma” lasciato decadere da Renzi.MARINO. Il sindaco ha vinto la battaglia, non la guerra. Voleva un contributo strutturale dallo Stato per far fronte alle spese straordinarie che affronta la capitale di un paese: Renzi gli ha detto di no come prima gli aveva detto di no Letta. Lui, comunque, ieri non nascondeva la soddisfazione : “Non ho attaccato Renzi, ho difeso i cittadini romani a cui non voglio aumentare le tasse”, visto anche che sono già le più alte d’Italia. “Il piano di rientro? Mi entusiasma, sono mesi che lo chiedo”. Eppure il chirurgo di origini genovesi, da sempre isolato rispetto al suo stesso partito, adesso è più debole e probabilmente dovrà accettare un rimpasto di Giunta. Gli interessi coalizzati in questa fase contro il sindaco non sono però solo politici: da chi è interessato a mettere le mani su Acea in giù sono in molti quelli che preferirebbero che a gestire la partita fosse un commissario.
LA PRIMA TASSA. Non voleva farlo come primo atto, ma gli è toccato: il premier mette la sua firma anche sull’aumento dello 0,8 per mille dell’aliquota base della Tasi (la tassa comunale sui servizi) concordato da Enrico Letta con l’Anci. E Silvio Berlusconi afferma: l’inizio del governo Renzi “non è brillante, perché è venuta subito una tassa sulla casa che sappiamo per noi essere una cosa sacra”. Il gettito, come previsto, non dovrà però aumentare: la maggiore flessibilità consentirà ai comuni di aumentare le detrazioni per i figli e/o i redditi bassi. I comuni incassano anche i 500 milioni stanziati proprio per le detrazioni dal ddl Stabilità: serviranno però a coprire i minori introiti del passaggio da Imu a Iuc insieme a 125 milioni nuovi che sono un gentile omaggio del premier.
WEB TAX. È la chicca finale: Renzi ha abolito la web tax votata dal Parlamento a dicembre. Almeno lo ha fatto su Twitter: “Rimossa la web tax, ne riparleremo in un quadro di normativa europea”, ha scritto il premier. Fonti di palazzo Chigi ci assicurano, però, che il testo della norma ancora non esiste e che ieri sera l’ex sindaco di Firenze era parecchio agitato. Colpa di uno scambio di tweet con il promotore della legge, Francesco Boccia: “Parli di ruling o della partita Iva?”, gli ha chiesto il presidente della commissione Bilancio della Camera (un tempo renziano). Con la tracciabilità già in vigore da gennaio, infatti, la Ragioneria generale dello Stato ha bollinato un incremento delle entrate di circa 130 milioni: dai sei milioni pagati dalle multinazionali del settore nel 2013 a 137,9 milioni. A quel punto Renzi ha chiamato i funzionari per farsi spiegare l’arcano e capire se davvero ha rinunciato a un’entrata: la fine non è certa. “Siamo stati di parola”, aveva comunque twittato il premier. “Sì, con le Over the top”, cioè con le grandi multinazionali, la risposta velenosa di Boccia. Non sono segreti, infatti, i buoni rapporti dell’ex sindaco con Google: l’azienda di Mountain View, per dire, tenne proprio a Firenze il suo country day 2011. Lo organizzò Dotmedia, azienda in cui figuravano soci della Eventi 6 della famiglia Renzi e società assai utilizzata dallo stesso Comune di Firenze.
di Marco Palombi
Il Fatto Quotidiano 01.03.2014