Contro la nuova squadra del premier i mugugni di Civati e dei suoi, Sel che si dichiara per il no nonostante apprezzi che “sia fatta per metà di donne” e i Cinque Stelle che per bocca di Di Maio denunciano: “E’ come Letta, conosciamo l’esito”. Mentre la Lega rivendica l’assenza del ministero di Kyenge.
Lo vedremo lunedì (a partire dalle 14 al Senato, quando il governo Renzi si sottoporrà al voto di fiducia) quanto sono veri i malumori. Per ora, però la posizione è questa: «Renzi sta facendo di tutto per farsi votare contro». Giuseppe Civati lo scrive sul suo blog, amaro, perché il governo Renzi non lo soddisfa, a cominciare da Angelino Alfano, ancora ministro dell’Interno.
«Sono orientato a non votare la fiducia», dice Civati, consapevole delle conseguenze. Gianni Cuperlo lo ha avvisato, ma lui lo sapeva bene: «io ho già votato contro in direzione» ripete da giorni Civati, «ora dobbiamo valutare cosa fare in aula perché non votando la fiducia sarebbe poi difficile restare nel Pd. Si tratta soprattutto di un voto sul partito. Dobbiamo valutare se rompere o no con il Pd e ci dispiacerebbe farlo». La scelta definitiva i civatiani la prendono domenica a Bologna, riuniti in assemblea. Poi sul blog di Civati, dove da qualche giorno stanno raccogliendo dei questionari . Non ha ammorbidito la posizione di Civati l’ultimo colpo di teatro di Matteo Renzi, la nomina di Maria Carmela Lanzetta , ex sindaco di Monasterace, un paesino della Calabria di 3500 anime, simbolo della lotta alla ‘ndrangheta che alle primarie aveva sostenuto proprio Civati e che nel’ultima direzione del Pd, come Civati, aveva votato contro. Come lei, avevano votato contro tutti i civatiani che ora si sfogano sui social network. Paolo Cosseddu, vero braccio destro di Civati, finora sempre più prudente del leader, è durissimo: «Col senno di poi» è un suo status, «Grillo ha fatto bene. Aveva ragione lui». E poi: «Siamo ai giochini: scelgo uno a te vicino così pensano che sei d’accordo. Complimenti per l’altissimo senso delle istituzioni». E ancora: «Cari bulletti renziani, più ci attaccate più sprecate i minuti preziosi che vi separano dal momento in cui questa pagliacciata vi crollerà addosso. Godetevela finché potete, che presto si farà durissima».
Si capisce dalle repliche dei renziani, che Giuseppe Civati però per Renzi non è un problema. «E’ il rimpasto che avrebbe dovuto fare Letta», dice Civati, ma il nuovo presidente del consiglio non se ne cura: Civati vota alla Camera dove i numeri sono più che sufficienti. Al senato invece i dissidenti sono Corradino Mineo e Walter Tocci, soprattutto. I due ancora non si sbilanciano, se non nel constatare che sì, «non votare la fiducia vorrebbe dire uscire dal Pd». E che questa, dice Tocci all’Espresso, «è una giornata di riflessione».
Nel partito democratico, per il resto, nessuno può lamentarsi. Stanno tutti al governo. Maurizio Martina, è bersaniano. Andrea Orlando è un giovane turco. I cuperliani si vantano di aver indicato Pier Carlo Padoan all’Economia, ex consigliere economico di Massimo D’Alema, Dario Franceschi ha piazzato se stesso e pure le neofite Mogherini e Pinotti. I renziani puri sono Del Rio, Boschi e Madia. Mancano i lettiani, che certo non possono dirsi soddisfatti del fatto che Federica Mogherini orbitasse spesso attorno alle associazioni della galassia lettiana.
E a chi nota l’assenza delle deleghe alle pari opportunità, è proprio l’ex ministro Josefa Idem a rispondere: «E’ un governo molto essenziale, ma non significa che non si occuperà anche di altri temi come lo sport. Le deleghe verranno affrontate con l’assegnazione ai ministri o ai sottosegretari’». Peccato che c’è chi rivendica il risultato. «Come sempre è la storia a darci ragione» ha detto il deputato della Lega Nord Gianluca Pini: «l’eliminazione del ministero della (dis)integrazione è una nostra vittoria».
Anche i popolari dell’ex ministro alla Difesa Mario Mauro, sembrano comunque voler restare della partita: Mauro si è prodigato in calorosi auguri di buon lavoro al nuovo ministro Roberta Pinotti («Sono moltissime le sfide che l’aspettano, ma sono certo che con le sue capacità politiche, tecniche e umane saprà vincerle. In bocca al lupo!»), che non sembrano preanunciare burrasca. Considerando poi che eventuali defezioni di civatiani o di popolari sarebbe colmata dal gruppo Gal (Grandi Autonomie e Libertà) composto soprattutto da reduci del Pdl, Renzi può stare tranquillo.
Non arriveranno i voti di Sel: «Pur apprezzando la scelta di costruire una squadra fatta per metà di donne» è il giudizio di Nicola Fratoianni, coordinatore nazionale del partito di Vendola, «il nostro giudizio politico sull’operazione compiuta resta negativo». Ma non importa. Dai 5 stelle, infine, i toni sono quelli previsti. E anche il più posato Luigi Di Maio è chiaro: «Questo sarebbe un nuovo corso? Se ci vogliamo prendere in giro diciamo che è un nuovo Governo, altrimenti basta guardare i dieci mesi passati per capire come saranno questi quattro anni che ci aspettano», sperando ovviamente «che non siano quattro».