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Petrolio Irpinia, il rischio sui bacini imbriferi. Relazione di Sabino Aquino

bacini_imbriferiL’area interessata alle ricerche da idrocarburi approvvigiona oltre quattro milioni di persone
In questi ultimi mesi è divenuta di grande attualità la problematica connessa al rilascio dei permessi per la ricerca di idrocarburi nel comprensorio Irpino. Molte sono le motivazioni addotte per il diniego di tali autorizzazioni da parte degli organi competenti, quelle maggiormente di spicco sono rappresentate dall’impatto sull’ambiente, sul paesaggio, sulle coltivazioni, sui numerosissimi prodotti DOC e DOGP grazie ai quali l’Irpinia è divenuta simbolo in tutto il mondo di eccellenza, non trascurando inoltre i fattori di rischio connessi all’elevato grado di sismicità del territorio oggetto di ricerca. Per quanto riguarda la matrice ambientale, particolare attenzione è stata posta sugli effettivi rischi di inquinamento degli acquiferi derivanti dall’esposizione agli idrocarburi.  Ciò tenuto conto del ruolo strategico che la provincia di Avellino svolge in virtù degli estesi e potenti bacini idrici sotterranei in essa presenti. A tal proposito è utile evidenziare che acque sotterranee hanno assunto e assumeranno sempre più in futuro un ruolo di crescente importanza nei sistemi idrici anche a causa del forte incremento della domanda.  Pertanto, rilevante interesse va dato alla definizione di affidabili criteri per un’efficiente e sicura gestione di tali risorse. Se, infatti, fino ad un recente passato, in un regime d’abbondanza e di sicurezza igienica, poteva ammettersi l’adozione di disinvolti criteri di gestione degli acquiferi, oggi gli scenari appaiono profondamente mutati e non certamente in meglio.  Da una parte, si assiste ad un sempre più violento attacco alla qualità delle risorse idriche sotterranee, la cui vulnerabilità è divenuta un problema di protezione civile, e, dall’altra, si è verificato come il contemporaneo ed indiscriminato attingimento allo stesso acquifero _DSC0109da parte di diversi utenti possa comportare per tutti la perdita della risorsa. I casi di inquinamento che si vanno ripetendo con frequenza sempre crescente, man mano che i controlli si fanno più assidui ed approfonditi, dimostrano che solo un’attenta vigilanza, associata ad un politica del territorio sensibile alle esigenze di tutela, può prevenire il degrado degli acquiferi e quindi, indirettamente, offrire sicurezza di approvvigionamento idropotabile alla collettività. Le fonti di potenziale inquinamento sono di dimensioni e densità sempre crescenti. La stessa ubicazione dei centri produttivi, avvenuta più sulla base di criteri socio-economici che ambientali, fa crescere il grado di rischio, che, associato ad un’elevata vulnerabilità del territorio, richiederebbe una più attenta visione pianificatoria o, quanto meno, più sofisticati sistemi di attenuazione e prevenzione dando applicazione al dettato normativo del Decreto Legislativo 152/2006 per quanto attiene in rischio inquinamento a cui sono soggette del fonti idriche. Quando ci si occupa di inquinamenti di corpi idrici sotterranei è doveroso soffermarsi innanzitutto sulle caratteristiche idrologiche delle rocce entro cui circolano le acque, che condizionano la vulnerabilità delle falde acquifere agli inquinanti. Occorre quindi effettuare una analisi dei diversi stadi attraverso cui si esplica la circolazione idrica nel sottosuolo. E’ noto che il comportamento di un inquinante nel suolo varia, in funzione della composizione chimica della soluzione inquinante e della roccia, della superficie di contatto soluzione-roccia e del tempo di contatto.
Quest’ultimo parametro varia sensibilmente a seconda che si tratti di rocce permeabili per porosità di interstizi o di rocce permeabili per fessurazioni o addirittura per veri e propri canali e cunicoli originati dal fenomeno carsico. Tanto rappresentato, va innanzitutto evidenziato che la zona oggetto di ricerca di idrocarburi interessa, tra l’altro, territori comunali in cui rientrano anche i massicci sorgenti_cassanoirpinomontuosi del Terminio-Tuoro (Montella, Cassano, Nusco) e del Cervialto (Caposele) che accolgono acquiferi con potenzialità idrica complessiva di oltre 10.000 litri al secondo in media annua, utilizzati per l’approvvigionamento idrico di oltre quattro milioni di persone. Per tali sistemi montuosi sono state elaborate le “Carta di Vulnerabilità all’inquinamento”. Queste costituiscono un importante documento di pianificazione del territorio, delle acque e di protezione civile. Esse sono utilizzate per mitigare o scongiurare il rischio inquinamento degli acquiferi. Le Carte della Vulnerabilità all’inquinamento, pertanto costituiscono uno strumento unico di lavoro, utile al governo dell’azione umana sul nostro territorio, al fine di prevenire l’inquinamento delle risorse con particolare riferimento alla verifica dello stato di interazione tra il territorio, le risorse idriche sotterranee ed i produttori di inquinamento su di esso ubicati.
Si tratta quindi di uno strumento di facile lettura in grado di agevolare ed indirizzare gli eventuali interventi di salvaguardia delle ingenti risorse idriche sotterranee presenti nelle predette strutture montuose. Ebbene da tale documentazione è tra l’altro rilevabile che le trivellazioni, gli oleodotti ed i gasdotti vengono considerati come “Produttori reali e potenziali di inquinamento dei corpi idrici sotterranei” (Centri ad alto potenziale di inquinamento). Ciò tenuto conto dell’attività di perforazione profonde da realizzare in fase di ricerca. In genere la costruzione dei pozzi costituisce un rilevante motivo di degrado con la messa in comunicazione di acquiferi diversi e la realizzazione di opere mal costruite. Sono i casi più volte citati di pozzi che non hanno cementazione, consentendo così il passaggio dell’acqua e molto spesso degli inquinanti da una falda più superficiale a una falda più profonda. Le ragioni dell’assenza delle cementazioni sono le più diverse: l’incuria, l’incapacità nell’ esecuzione di certe operazioni, l’impossibilità di eseguire e controllare taluni interventi prescritti ecc…
Ma è anche il caso di pozzi nei quali falde diverse sono messe in comunicazione. A parte ciò, in ogni caso anche se la esecuzione di un pozzo venisse effettuata a perfetta regola d’arte, comunque, in occasione di eventi sismici, tale opera potrebbe essere seriamente compromessa nella sua struttura. Il rischio inquinamento per gli acquiferi irpini non è rappresentato solo dalle trivellazioni per ricerca e captazione dell’idrocarburo ma anche dalle infrastrutture che dovranno realizzarsi successivamente alla individuazione del petroli per il trasporto dello stesso alle raffinerie. Le condutture ed i sistemi di condotte che sono utilizzate per trasportare i prodotti petroliferi e i gas naturali sono i più soggetti a perdite, nonostante tutti gli  accorgimenti che vengono impiegati nella loro progettazione e realizzazione.
Queste infrastrutture di collegamento hanno sviluppi di centinaia di chilometri, impegnano situazioni topografiche, idrografiche e idrogeologiche anche molto diverse costituendo ovunque un elemento di notevole pericolosità potenziale. La loro posa in opera nel sottosuolo comporta sempre una scarificazione notevole del terreno in sito e la realizzazione di trincee profonde nell’insaturo e, abbastanza spesso, nella zona satura dell’acquifero. Le perdite causate da deterioramento (corrosione), dalla rottura o da cedimento di tali tubazioni provocano la fuoriuscita dei liquidi, spesso altamente inquinanti, ed conseguente  inquinamento delle acque sotterranee soggiacenti. Altre cause di perdite nelle tubazioni sono le saldature, difettose, sovrappressioni incidentali, dal traffico pesante, frane e sprofondamenti.
Senza poi trascurare le vibrazioni indotte al suolo dai terremoti in aree come quella Irpina classificata ad elevata sismicità. Pertanto, allo stato, non esistono livelli di sicurezza che possono garantire la perfetta tenuta di un pozzo profondo o delle condotte di oleodotti o metanodotti durante un terremoto. Pertanto, dalle varie realtà idrogeologiche emerge sempre più la necessità di intervenire in modo critico sugli attuali criteri di delimitazione delle aree di salvaguardia degli acquiferi superficiali e profondi. Tali aree infatti, non possono e non devono collocarsi in un’asettica e banale riproduzione di schemi eccessivamente generali e semplicistici, ma scaturire da un’accurata analisi delle peculiarità idrodinamiche locali del territorio.
In tal senso vanno evitate tutte quelle azione antropiche, che se attuate, arrecherebbero seri danni ai bacini idrici sotterranei. Tra queste vanno sicuramente annoverate le infrastrutture per la ricerca ed il trasferimento degli idrocarburi.
La vicina Basilicata, che ha investito sulle trivellazioni già da due decenni e aspettava il rilancio, se non la ricchezza, dall’oro nero scoperto, oggi vive con una certa delusione l’investimento attuato che non ha prodotto i risultati sperati. Anche se le royalties hanno evitato la bancarotta di sicuro lo sviluppo non è partito e nel contempo si è generato solo un significativo e marcato danno ambientale con pesanti conseguenze per l’ecosistema degli abitati di tutto il comprensorio della Val d’Agri.
Sabino Aquino geologo
Corriere dell’Irpinia

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