Sarà ovvio, chiaro, maledettamente scontato: ma il successo del Movimento 5 Stelle di Grillo è (e sarà) direttamente proporzionale all’autismo della classe politica, sorda alle necessità del Paese reale perché troppo distante dalla concretezza della quotidianità.
Vivono in una astronave, continuano – nonostante siano stati ormai beccati – a mangiare a sbafo della comunità e continuano a prendere in giro con promesse assurde. Non solo Silvio Berlusconi, che ormai è noto per la serietà che lo contraddistingue anche in Angola (nei giorni scorsi il quotidiano nazionale nell’Africa nera ha titolato “Silvio promette tutto agli italiani in una lista di idiozie”, lo chiamano persino Silvio) ma anche Mario Monti s’è adagiato, oltre che sul tappeto con nipotini da Mulino Bianco e in poltrona con cane robotico, sulle promesse elettorali irrealizzabili. Rubandone alcune al reuccio di Arcore, tipo l’ultima: “Meno tasse già dal 2013”. Poi ci sono le liste, con gli stessi nomi e sempre le stesse facce. La tanto decantata operazione liste pulite, a destra come a sinistra, è finita in un quasi nulla di fatto. Hanno cancellato solo i riconoscibili tra gli impresentabili. Quelli cioè, come il povero Marcello Dell’Utri, che proprio non puoi nascondere neanche tra le pieghe del Porcellum. Ma ci sono le ex del porno (Fiorella Ceccacci Rubino, Pdl), le mogli e figlie dei soliti amici (Sara Papinutto, consorte di Volpe Pasini, candidata nella Lega) e i salvatori di Silvio Domenico Scilipoti e Razzi. Poi uno non deve sentirsi preso in giro? Ma come: il governo tecnico non doveva sistemare i conti, tagliare il numero dei parlamentari (e i loro faraonici e ingiustificati – nonché ingiustificabili – privilegi) e scrivere una nuova legge elettorale per tornare alle preferenze dirette? Ne avessero fatta mezza.
E allora come si fa a mandarli a casa? Loro continuano ad autolegittimarsi, grazie a una legge elettorale che è truffa la democrazia perché non permette di scegliere chi votare e deresponsabilizza il politico dal proprio elettorato; continuano ad assolversi protetti nei paletti da loro stessi eretti, una casta ormai arroccata in una sorta di monarchia con poteri anche sugli organi di controllo dello stesso Stato. Sfuggono al confronto pubblico, si nascondono dietro il vetro delle televisioni certi che pochi tireranno statuette e verdure contro gli schermi.
Ma la rabbia, la frustrazione generata dall’impotenza, dalla coscienza di non poter cambiare la situazione, dalla scoperta di essere un ingranaggio sostanzialmente inutile nei processi decisionali del Paese, ha una valvola di sfogo: il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. La si pensi come si vuole, ma il comico di Genova ha creato un torrente che riesce a passare le fessure del castello, che garantisce di entrarci dentro. Con quale forza ancora non si sa. Ma dipende solo da quanti decideranno di saltarci dentro. E più loro si arroccano e più il torrente si gonfia, cresce, acquista terreno. Piaccia o no il successo di Grillo è direttamente proporzionale all’autoalimentazione della casta. Sì, il M5S è un movimento anticasta. Populista, con un programma incompleto, generico e poco chiaro. E Grillo magari è pure un monarca assoluto che non ammette democrazia interna. Queste le critiche, le accuse. Ma ogni voto dato al movimento è un voto di protesta contro quanti governano da 20 anni, che magari sanno anche scriverlo un programma ma poi non lo rispettano e se ne fregano. Un voto che loro hanno perso.
Ogni scheda che nelle urne avrà una croce per Grillo rappresenta il fallimento della classe politica che ci ha governato. E il comico di Genova li ringrazierà, perché è solo merito della loro incapacità se il Movimento nato in rete riesce a mandare dei cittadini normalissimi (operai, casalinghe, piccoli imprenditori) al Parlamento del Paese. Sarà ovvio, chiaro, scontato ma il voto al M5S è visto (e vissuto) come l’unico modo per mandare a casa buona parte della casta.
Davide Vecchi
Il Fatto Quotidiano 09.02.2013