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Cari politici, la vera spending review è togliere i soldi ai criminali

orlando_renzi Pur essendo l’Italia la terza economia d’Europa e la seconda industria dopo la Germania, nessuno appare disponibile a investire e ad assumere nelle Regioni del Sud e in particolare in Sicilia. La perdurante crisi economica è un terreno fertile per il proliferare delle strutture mafiose, e di Cosa Nostra in particolare. La disponibilità di risorse economiche a “costo zero” derivanti dai traffici e dalle attività illecite, e la conseguente capacità di “scalare” aziende in difficoltà, la capacità intimidatoria di assoggettamento anche nei confronti degli imprenditori, l’attitudine a offrire protezione e opportunità di crescita agli esponenti più spregiudicati del mondo imprenditoriale, la possibilità di offrire una “giustizia sostitutiva” rispetto a quella statuale, la forza di condizionamento della cosa pubblica attraverso la corruzione associata all’intimidazione, l’omertà diffusa costituiscono per i mafiosi, in questo contesto storico, i fattori idonei a coltivare il fertile terreno per implementare l’infiltrazione nell’economia legale, nell’assegnazione e nella gestione degli appalti.

IL CONTESTO impone una riflessione per verificare quali antidoti impiegare, a livello giudiziario e legislativo, per impedire o comunque ostacolare sul piano repressivo l’avanzata silente dell’azione mafiosa, solo in parte individuata dal contrasto giudiziario. L’esigenza è, sul piano della giustizia, quella di poter disporre di riti penale, penitenziario e civile celeri ed efficienti, capaci di garantire che i colpevoli paghino fino in fondo per le proprie responsabilità e per i propri errori, perché l’assenza di una pronuncia sulla responsabilità, della certezza dell’espiazione della pena, della possibilità di conoscere chi ha torto o ragione nelle controversie spalancano alla criminalità organizzata ampi spazi di intervento. È poi necessario rimodulare la strategia di aggressione da parte della magistratura e delle forze dell’ordine per impoverire sempre più il mafioso, potenziando le misure di prevenzione patrimoniali per confiscare i beni, parallelamente al procedimento penale. Un massiccio, efficace e sistematico impiego di questo strumento potrebbe far fronte alle risorse finanziarie necessarie al funzionamento della giustizia, drenando potentemente gli “evasori totali”, quali sono i mafiosi.Occorre poi, con opportuni interventi normativi, accelerare la tempistica del procedimento di prevenzione, limitando i casi in cui è possibile l’appello (ad esempio, solo dinanzi a nuove acquisizioni decisive e successive al primo grado) e introducendo strumenti celeri di destinazione dei beni agli uffici giudiziari . Il conseguente affievolimento delle garanzie può essere bilanciato dalla specializzazione dei magistrati destinati a occuparsi della materia, tenuto conto che non si incide direttamente sulla libertà personale.

Una seconda direttrice di interventi dovrebbe riguardare le figure degli imprenditori, creando incentivi concreti che rendano conveniente la collaborazione con la giustizia, sia per chi è colluso, sia per chi è vittima del sistema mafioso, disegnando uno status per il “collaboratore imprenditore”. Penso a diritti di prelazione nell’aggiudicazione degli appalti pubblici e a forme di finanziamento agevolato, correlati all’entità del contributo offerto.

Una terza linea d’azione dovrebbe offrire strumenti adeguati per reprimere la corruzione, limitando la prescrizione alla fase dell’indagine, in modo che, una volta esercitata l’azione penale, si debba giungere alla pronuncia sulla responsabilità, consentendo la punibilità di questo reato ogniqualvolta il funzionario o il politico ricevano denaro, a prescindere dalla correlazione con un atto d’ufficio: così identificando il delitto con il sentire comune che correla la corruttela alla dazione di denaro al pubblico ufficiale. Inoltre è auspicabile reintrodurre il falso in bilancio e assicurare la punibilità dell’autoriciclaggio. Spero che le iniziative appena citate siano oggetto di riflessione e fungano da stimolo per la nuova classe politica dominante. Lo stato di cose che oggi viviamo ha compromesso l’autorevolezza delle precedenticlassi politiche italiane, incapaci di risolvere, dall’Unità d’Italia a oggi, i problemi fondamentali creati dalla presenza del crimine mafioso che ha, senza possibilità di smentita, impedito lo sviluppo nelle Regioni del Sud.

di Luca Tescaroli
sostituto Dda Roma
Il Fatto Quotidiano 26.08.2014

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