Rispettare la legge. Questo è davvero rivoluzionario e sovversivo in Italia. Più dei forconi, dei blocchi, delle occupazioni, delle liste di proscrizione.
Siamo tutti disorientati. Viviamo in un Paese capovolto, dove lo Stato – che dovrebbe essere presidio della legalità – è spesso rappresentato da chi si mette le regole sotto i piedi. Peggio, ne crea di nuove a proprio uso e consumo. E così fornisce pretesto per anarchia e violenza. Decenni di malapolitica hanno depositato nei nostri pensieri una polvere tossica: oltre la corruzione, oltre la criminalità, c’è la perdita del senso della giustizia. Ma la vera rivoluzione non è una battaglia con le stesse armi dell’illegalità. Così si rafforza chi sta al potere. Sovversivo sarebbe combattere il (dis)ordine costituito con il rispetto della legge. Solo allora il re sarà nudo.
Non è un discorso vuoto. Proviamo a immaginarla concretamente: una giornata di protesta in cui tutti rispettiamo le regole (anche quelle non scritte in un codice). In cui pretendiamo che gli altri – soprattutto chi rappresenta le istituzioni – facciano altrettanto. Immaginiamo un giorno in cui si rispettino le corsie preferenziali, le strisce pedonali e si richiami il vigile che gira la testa di fronte all’auto nel parcheggio degli handicappati. Un giorno senza cacciare i rifiuti dal finestrino, senza costruire verande abusive, senza presentare certificati falsi per le tasse scolastiche. Un giorno fornendo le ricevute fiscali per i lavori che compiamo. Appena ventiquattro ore senza raccomandare figli agli esami, senza saltare code, senza timbrare cartellini fasulli, senza interminabili pause caffè se siamo allo sportello di un ufficio pubblico. Ma anche un giorno intasando i centralini delle Ferrovie quando saliamo su treni ridotti a carri bestiame e in ritardo di ore. Un giorno dedicando dieci minuti per scrivere una mail alla Presidenza del Consiglio perché rispetti il referendum sull’abolizione delfinanziamento dei partiti. Per sommergere di messaggi Camera e Senato chiedendo di rispondere alle interrogazioni parlamentari. Oggi siamo impegnati in analisi sociologiche pensose e fumose sui forconi e la protesta. Quando conosciamo la prima causa del male: la mancanza di legalità. Di giustizia. Abbiamo tutti ricordato Nelson Mandela. Ma che cosa sarebbe successo se Madiba per combattere i razzisti avesse usato il loro stesso odio? L’Apartheid dominerebbe ancora il Sud Africa. No, serve un passo ulteriore, più difficile. Serve – lo dice Javier Cercas nell’intervista che pubblichiamo – capire. Che è l’opposto di giustificare. Allora proviamo a capire che cosa ci ha portato al disastro e cambiamo strada. Come diceva Mandela: “Non importa quanto stretto sia il passaggio: io sono il padrone del mio destino. Io sono il capitano della mia anima”.
Il Fatto Quotidiano 16.12.2013