Cicero, in Sicilia, incide i frassini per la manna, i Trebino, in Liguria, costruiscono orologi da torre.
Mario Cicero, 35 anni, ha iniziato nel 2003: «Il primo raccolto non sapevo bene cosa fare…». Oggi è il referente del presidio Slow Food dei raccoglitori di manna del Palermitano. «Chiesi i segreti agli anziani, ma non è stato semplice. Era una tradizione che si stava perdendo». La sua non è un’operazione nostalgia. Un chilo di manna, la linfa che fuoriesce dalla corteccia incisa dei frassini, può valere dai 100 ai 200 euro. Si fanno dolci, liquori, saponi e una grossa casa francese di cosmetica ne ha ricavato una crema per le mani.
A Castelbuono e Pollina, piccoli paesi arroccati sulle Madonie, sono convinti che può diventare un’occasione di crescita. «Saremo una quarantina – fa il conto Cicero -. Metà sono anziani ma gli altri sono giovani».
Nel futuro c’è spazio per la tradizione, gli antichi mestieri possono rivelarsi una risorsa incredibile in una nazione che ha fatto del lavoro artigianale la sua forza (il «made in Italy», appunto, dalla moda al parmigiano).
A Uscio, entroterra del Genovese, la famiglia Trebino continua a produrre orologi da torre: non sono più meccanici ma elettronici, passione e maestria sono però le stesse di cinquant’anni fa. Giorgio, il capofamiglia con orgoglio dice che figli e nipoti, laureati, sono impiegati in azienda: «Bisogna saper fare tutto, dal lavoro manuale, alla manutenzione, alla vendita». Giorgio Trebino è uno dei dodici «anziani» che ha deciso di trasmettere agli altri il suo sapere, dodici testimonianze (li trovate anche su YouTube) nel progetto curato dal Cupla (Coordinamento unitario pensionati lavoro autonomo) con il sostegno della Regione Liguria. Come lui hanno fatto Ernesto Canepa, ceramista ad Albisola Superiore, o Filippo Romeo, creatore di pipe a Taggia.
La giunta ligure sta investendo molto sulle abilità del passato: per esempio, ha selezionato tredici progetti e dalla scorsa estate 150 giovani, disoccupati o in mobilità, imparano a lavorare il ferro o a realizzare dolci di cioccolato, a creare carta artistica o costruire un muretto a secco.
«Sono esperienze che farebbero bene a tutti. Un periodo all’interno di un impresa artigiana dovrebbe far parte dei programmi della scuola dell’obbligo». Luca Costi, segretario ligure della Confartigianato, si appassiona quando parla di giovani e tradizione. «In Italia il termine antico mestiere ha quasi un’accezione negativa, come se fosse qualcosa del passato, desueto. Serve un cambiamento culturale, a partire dai genitori che devono capire che non c’è un’istruzione di serie A e una di serie B».
La Cgia di Mestre ha stimato che in otto anni nessuno chiederà di occupare 385 mila posti «ad alta intensità manuale». I ragazzi sognano un avvenire diverso perché spesso non conoscono la bellezza (e la capacità di ottenere reddito) che può nascondersi dentro la pratica artigianale.
Alberto Cavalli sintetizza un concetto-chiave con una battuta: «Ci sono molto più stilisti disoccupati che sarti». Cavalli è il direttore della Fondazione Cologni dei mestieri d’arte, l’istituzione nata nel 1995 con la finalità di salvaguardare e promuovere l’artigianato artistico di eccellenza. Ancora una volta, non è solo uno sguardo all’indietro. «Quest’anno abbiamo messo a bottega 25 giovani diplomati – spiega Cavalli -. Sei mesi di tirocinio in un atelier d’impresa retribuito con una borsa di studio». Maestro e allievo uno accanto all’altro, trasmissione del sapere «all’antica» ma insostituibile.
«Ci sono mestieri che non cambiano nel tempo, ed è questa la loro forza – aggiunge Cavalli -. Come i liutai di Cremona che creano opere d’arte esattamente come facevano Stradivari o Guarneri. Ma per altri è un continuo aggiornamento, come nella moda o nel design: i materiali da utilizzare si sono moltiplicati, stilisti e architetti chiedono sempre di più e i nostri artigiani sono costretti a superarsi».
Anche Mario Cicero, il raccoglitore di manna, fa un lavoro antico ma con una tecnica moderna. «Utilizzo l’igrometro per controllare l’umidità e decidere quando è il momento giusto per l’intaglio delle piante. E una quindicina di anni fa Giulio Gelardi, di Pollina, è stato il primo a utilizzare il filo di nylon per convogliare la linfa. Non bisogna più aspettare otto giorni come una volta, che goccia dopo goccia si depositasse sulle pale di ficodindia. Così ottengo un prodotto purissimo, e lo vendo pure a un prezzo migliore».
Riccardo Bruno
corriere.it