Programmi per primarie Pd.
Dobbiamo”, “serve”, “occorre”: la fiera dei buoni propositi è finalmente sul piatto. Matteo Renzi, Gianni Cuperlo, Giuseppe Civati e Gianni Pittella, i quattro cavalieri dell’apocalisse di se stessi, hanno presentato le loro mozioni.
Ovviamente Renzi è il più sintetico (18 pagine) e altrettanto ovviamente Civati il più prolisso (70). Cuperlo si ferma a 22 e Pittella a 24. Summe post-brezneviane, praline dell’ovvio, supercazzole maanchiste. È un profluvio di fioretti politichesi quello che inonda il povero elettore del Pd.
LA MOZIONE è la versione aggiornata del pensierino della sera quando si era bambini. Dal “Prometto che mangerò tutta la minestra e non dirò bugie”, sussurrato alla mamma mentre ti rimboccava le coperte, al “vogliamo cambiare verso a questo anno cambiando radicalmente non solo il gruppo dirigente che ha prodotto questa sconfitta, ma anche e soprattutto le idee che non hanno funzionato, le scelte che hanno fallito, i metodi che ci hanno impedito di parlare a tutti”. Un pensiero (farraginosissimo) che non vuol dire nulla, e infatti l’ha scritto Renzi. Significativi i verbi più ricorrenti: “Dobbiamo”, “serve”. Ovvero qualcosa che rimanda puntualmente a un futuro agognato, più esattamente a “una terra promessa e a un mondo diverso dove crescere i nostri pensieri” (che non è Renzi, ma Eros Ramazzotti). L’eterno accenno al “dovere” e al “servire” caratterizza da sempre la comunicazione della sinistra istituzionale. Giovanilismi a parte, le mozioni di adesso potevano essere scritte venti anni fa. I quattro cavalieri del pensierino deboluccio tradiscono quella cristallizzazione che rende passatista (più che nostalgica) qualsiasi analisi del gruppo dirigenziale riformista. Una cristallizzazione evidente in Cuperlo, ma percettibile anche in chi come Renzi ha messo al centro della weltanschauung la rottamazione. Il poker di mozioni tradisce un lessico vetusto, unito all’ammicco garbato. La sintesi estrema, comunque a tutti i candidati, è la medesima: votami e sarai salvato. “Rivoluzione della dignità”, “cambiare verso”, “le cose cambiano, cambiandole” (apoteosi del civatismo), “ci meritiamo di più”, “abbiamo bisogno di una lettura sincera della sconfitta”. Ieri era tra la via Emilia e il West, oggi sembra piuttosto tra la frignatina collettiva e il volemosebenismo confuso. Il Pd deve, gli elettori devono. Dunque, insieme, “dobbiamo”. Sì, ma “dobbiamo” cosa? Quello che vi pare. L’importante è dovere, verbo che rimanda al-l’ottimismo della volontà gramsciana ma pure al pessimismo della ragione. “Dobbiamo da subito costruire il cambiamento. L’orizzonte politico del Pd non sono le larghe intese come strategia, né un neocentrismo esplicito o camuffato”.
QUINDI? Quindi niente. Però come fosse Antani, possibilmente con scappellamento a sinistra (almeno quello). “A cosa serve il Pd?”, si chiede – in un pericoloso surplus di autoanalisi – Civati. Dubbioso se rispondere “a nulla” o “a tenere in vita Berlusconi”, il dissidente modello del Pd preferisce ricorrere all’ennesimo equilibrismo dialettico: “Serve se si decide, insieme”. Ah. Poi: “Un partito che non teme il futuro: è “al futuro” ed è al futuro, non al passato, che si affida”. Chiaro, no? No. Renzi ammette di inseguire i voti dei delusi da Grillo e Pdl, con un impeto tale da dimenticarsi di inseguire nel frattempo i delusi dal Pd. “Si vince recuperando consensi in tutte le direzioni: centrodestra, Grillo, astensioni”. Recuperare tutto per non recuperare nulla. Dire niente ma dirlo bene: la zuppa del casato, o del Renzi. Civati, però, è sicuro e alla Zanzara dice: “Io vice di Renzi, se me lo chiedesse direi di sì”. Pittella verga pagine vibranti, che però nessuno mai leggerà, si presume neanche lui. E Cuperlo? “Il Pd, dunque, deve cambiare il suo modo di stare tra le donne e gli uomini che sceglie di rappresentare”. Quindi (anzi “dunque”) il Pd non deve essere il Pd.
I quattro ardimentosi sfidanti hanno reso pubbliche le loro preghierine della sera. Sembrano soddisfatti e sereni. Ora, non senza una certa misericordia, gli elettori possono rimboccargli le coperte.
Il Fatto Quotidiano 23.10.2013