Mai più militari italiani all’estero. Dopo la richiesta del ritiro del contingente italiano dall’Afghanistan, è una mozione sulla situazione del Mali a dare il là ai deputati del Movimento 5 stelle per alzare l’asticella sulle tematiche di politica estera. Non solo Kabul, dunque, ma tutti gli scenari in cui l’esercito si trova impegnato in missioni internazionali deve essere sgombrato dal grigioverde delle nostre divise. Manlio Di Stefano, capogruppo stellato in commissione Esteri alla Camera, è categorico: “Chiediamo con forza che i nostri soldati non escano più dal territorio del nostro paese se non per missioni di assistenza a popolazioni in difficoltà”.
“Qualsiasi intervento militare che ha visto impegnati i nostri contingenti è stato fallimentare” aggiunge Alessandro di Battista, che della Commissione è vicepresidente. “Se si pensa a posteriori agli interventi in Kosovo, in Iraq, in Afghanistan si comprende come abbiamo solo buttato soldi e vite umane. Per questo vogliamo i nostri militari non sparino mai più un colpo”. Lo spunto è stato quello che Carlo Sibilia racconta come un “lungo lavoro di raccolta di dati e informazioni sulla situazione nel paese africano”. È Di Battista a illustrarne i risultati che fanno parte delle premesse alla mozione che oggi è stata depositata a Montecitorio: “Sappiamo che c’è un coinvolgimento di alcuni nostri esperti militari nel paese, ma per il resto non abbiamo informazioni ulteriori, cosa che il governo dovrebbe invece fornire. Il primo luglio partirà un contingente di 12mila uomini autorizzato dalle Nazioni Unite, e ancora non sappiamo in che modo ci coinvolgerà”.
Ad essere messo in discussione è l’operato del governo di Mario Monti, che il 28 dicembre scorso ha inserito un fondo di 2 milioni di euro destinato alle operazioni in Mali in un decreto così denominato: “Proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia”. “Il punto – spiega Di Battista, è che prima di dicembre il nostro paese non era in nessun modo coinvolto nelle operazioni francesi in quella zona, dunque non vedo come si possa parlare di proroga rispetto ad un’azione iniziata in quella data”. Sotto la lente di ingrandimento anche la decretazione d’urgenza con la quale è stato approvato il provvedimento: “Non capisco quale fosse l’impellenza per il popolo italiano di intervenire in Mali senza passare per un sereno e largo confronto in Parlamento. Non mi sembra che qualche tuareg ci abbia mai minacciato”.
Critica la posizione anche nei confronti dell’Unione europea, che “ha avallato a scatola chiusa” un’azione militare inaugurata da Parigi: “La missione Eutm Mali – si legge nella mozione – pur nel dichiarato intento di riportare pace e stabilità in un paese terzo, non fa, però, che intervenire in un vero e proprio conflitto, fornendo una cornice legale e giuridica alla unilaterale azione francese”. “Si pone anche un problema di governante di questi interventi – ragiona Di Stefano – Noi non facciamo altro che aggregarci ad azioni di guerra condotte da altri. L’unico caso recente nel quale abbiamo avuto noi il controllo della situazione è stato in Libano, dove si è visto il buon livello di quell’azione”.
“In questo caso il problema, a differenza della questione afghana, non è anche di tipo economico – ammette di Battista – ma di tipo politico. Poniamo sul piatto la questione che interventi come questi da oggi in poi non siano mai più avallati dal Parlamento, né tantomeno dal governo senza essere passato per le Camere”. A pochi giorni dalla mozione congiunta con Sel sugli F35 (“Ma di Mali con gli uomini di Vendola non abbiamo parlato”), il Movimento 5 stelle supera sul tema di antimilitarismo le posizioni della sinistra parlamentare. Tra gli impegni richiesti al governo infatti si richiama con forza la necessità di “definire un piano di ritiro di tutti i militari italiani eventualmente impegnati nelle predette missioni, intraprendendo ogni azione utile in sede europea e nelle ulteriori sedi a livello sovranazionale”. Perché gli occhi, oltre che sull’Africa, sono rivolti anche su Damasco: “Sappiamo delle rassicurazioni in tal senso del ministro Emma Bonino – chiosa Di Battista – ma il nostro vuole anche essere un atto preventivo per evitare che sulla Siria si utilizzi lo stesso metodo decisionale”.
di Pietro Salvatori,
L’Huffington Post