Il Documento di Economia e Finanza (DEF) è il principale strumento di programmazione economica del Governo per l’anno in corso e per quello successivo (2017). Vediamone i numeri principali per capire cosa ci aspetta nei prossimi due anni. In sintesi: tagli degli investimenti pubblici nei servizi, crescita del debito pubblico, aumento dell’IVA già messo in conto. Una mazzata al nostro Paese: quello con più poveri di tutta l’Europa.
Il debito pubblico aumenta, gli investimenti no
Il deficit pubblico è la differenza tra spese ed entrate del settore pubblico. In una situazione di prolungata crisi economica e di alta disoccupazione è bene che il settore pubblico aumenti questo parametro per favorire la ripresa del settore privato (imprese, credito, famiglie) attraverso investimenti diretti che creino nuova occupazione. Se lo facesse, il deficit pubblico diminuirebbe spontaneamente negli anni successivi, senza bisogno di tagliare i servizi pubblici e lo Stato sociale, perché i nuovi occupati garantirebbero maggiori entrate alle imprese (aumento della domanda) e anche alle casse pubbliche (tassazione diretta e indiretta). Il Governo, invece, sta tagliando il deficit pubblico da tre anni senza aumentare gli investimenti. Il deficit si attestava al 3% del Pil nel 2014, nel 2015 è stato portato al 2,6%, nel 2016 al 2,3% del Pil e per l’anno prossimo è fissato all’1,8%. L’austerità di cui sentiamo parlare da anni è fotografata da questo semplice numero, e corrisponde in concreto a tagli lineari alla spesa pubblica, a danno soprattutto degli Enti locali e dei servizi pubblici. La sanità pubblica, in particolare, è stata dimagrita di altri 4,3 miliardi di euro tra 2015 e 2016 e varrà a fine 2016 solo il 6,5% del Pil, ampiamente sotto la media europea.
Nessuna soluzione per l’economia depressa
Il premier fa la voce grossa in Europa sui decimali per non arrivare troppo debole alle prossime elezioni, ma non ha mai messo in discussione il Fiscal Compact, che impone un folle pareggio di bilancio pubblico a suon di tagli, liberismo sfrenato e privatizzazioni.
Gli investimenti pubblici sono l’unico ingrediente strettamente necessario per far ripartire un’economia depressa. È impossibile aspettarsi investimenti dal settore privato quando la domanda di beni e servizi ristagna a livelli molto bassi a causa dell’alta disoccupazione e dei bassi salari. È quindi la leva degli investimenti pubblici che ha il compito di far ripartire il circolo virtuoso, rilanciando la domanda interna, i profitti delle imprese e quindi, indirettamente, anche gli investimenti privati.
Ebbene, “gli investimenti pubblici italiani sono costantemente al di sotto della media dell’Unione europea e ai suoi minimi da sempre dal dopoguerra, al 2,2% del PIL”. Nel periodo 2005-2015 sono letteralmente crollati: -26,3%. Quasi 100 miliardi di euro in meno in 10 anni. La mancanza di infrastrutture vitali, le inefficienze e la miseria delle ferrovie regionali, lo stato desolante di moltissime strade locali, piene di buche e pericoli, l’arretramento del settore rinnovabile, che ci garantirebbe una sempre maggiore autonomia energetica, sono alcuni esempi del declino che accompagna l’assenza di investimenti pubblici. Il Mezzogiorno, preso in giro a più riprese da questo Governo, lo può testimoniare ancor più che il resto d’Italia.
Il Pil diminuisce, l’IVA cresce e i tagli lineari sono all’orizzonte
Nel Def si prepara un’ennesima sforbiciata. Dopo la lieve ripresa del 2015, ci sarà un crollo ulteriore di circa 6,5 miliardi tra investimenti fissi lordi, contributi agli investimenti e altre spese in conto capitale: da 66 miliardi e 745 milioni a 60 miliardi e 375 milioni; dal 4,1% al 3,6% del Pil.
Il debito pubblico, in una situazione come questa, non può che rimanere a livelli altissimi. L’unica via per abbattere il rapporto debito/Pil, infatti, è far ripartire il denominatore (Pil). Tagliare gli investimenti e i redditi dei cittadini non porterà a nulla. In effetti, dopo i proclami entusiasti dei mesi passati, anche il Governo deve scontrarsi con la realtà, e nel Def scrive nero su bianco che il rapporto debito/Pil diminuirà nel 2016 dello 0,3% (dal 132,7% al 132,4%) invece che dell’1,4% previsto (dal 132,8% al 131,4%). Se contiamo che le previsioni sul Pil 2016 sono già state riviste al ribasso dallo stesso Governo (dall’1,6% all’1,2%) e che lo scenario internazionale è sempre meno favorevole, è logico aspettarsi che anche questa insignificante diminuzione lasci il posto, a fine anno, ad un nuovo aumento del debito pubblico rispetto al Pil.
Il Def, in conclusione, riporta ancora una volta il Governo sulla terra, nonostante si basi su previsioni del Pil molto ottimistiche. Se il Pil dovesse crescere ancor meno dell’1,2%, come è molto probabile, la finanziaria di ottobre ci lascerà letteralmente in mutande, tra aumenti di Iva già messi in conto e nuovi tagli lineari ai servizi pubblici.
di M5S Parlamento