Spin L’obiettivo è creare confusione sui dati e rendere difficile valutare le politiche pubbliche.
Il titolo dell’intervista di Matteo Renzi al Corriere della Sera, domenica scorsa, era questo: “In arrivo dati positivi, le unioni civili si faranno”. Lunedì l’Huffington Post pubblica un retroscena: “Istat, il governo ottimista sui nuovi dati sull’occupazione”. A Palazzo Chigi “ora si respira ottimismo:i nuovi dati sull’occupazione che l’Istat diramerà domani, questa volta molto probabilmente saranno positivi”. Eppure la politica non dovrebbe conoscere in anticipo i dati ufficiali sull’economia.
Da alcuni anni,l’Istat è molto attento a comunicare in anticipo il calendario dei suoi comunicati: la puntualità e la prevedibilità sono cruciali per garantire che i dati siano credibili.
Ci si potrebbe mai fidare di un istituto di statistica che anticipa i dati positivi sul Pilintempo per una conferenza stampa del premier o li ritarda per evitargli domande scomode in un talk show? Ovviamente no. In Grecia il dato trimestrale sul balzo del Pil (+0,9 per cento) giusto prima delle elezioni anticipate è guardato con sospetto perché l’Istat greco non è stato ancora reso completamente indipendente dal governo, nonostante i ripetuti richiami europei.
In una intervista al Fatto, il presidente dell’Istat Giorgio Alleva ha parlato di un “caos desolante” sull’uso dei dati sul lavoro e ha proposto che sia il suo istituto a coordinare, con ministero del Lavoro e Inps,un monitoraggio ordinato dell’effetto delle riforme su occupazione e crescita. Ma il governo ha un altro approccio. Quando si avvicina un comunicato Istat importante, il ministero del Lavoro diffonde un suo monitoraggio sull’occupazione (che non è una statistica), spesso i dati sono piegati alle esigenze della propaganda. L’ultima volta il ministro Giuliano Poletti ha esagerato e ha comunicato che nei primi sette mesi del 2015 si erano registrati 630.585 contratti a tempo indeterminato in più, ma aveva sbagliato le addizioni, erano solo 327.758 Palazzo Chigi invece fa precedere i comunicati Istat da una raffica di retroscena che raccontano come al governo riescano a stento a trattenere l’entusiasmo, pregustando le notizie positive in arrivo. L’Istat poi comunica variazioni da zero virgola o dati che richiedono quantomeno prudenza (è una buona notizia se tornano a lavorare solo gli over 50 mentre i giovani fino a 34 restano disoccupati? E si può esultare se il Pil cresce di poco ma il motore dell’export si è fermato?). E subito il governo parte con la grancassa: ieri addirittura un videomessaggio di Renzi e una sequenza di tweet del suo portavoce Filippo Sensi, di questo tenore: “Poi c’era la propaganda, il galleggiamento, già, me li ricordo #theysaid”. Servono a spiegare ai giornali come raccontare i dati. Di solito funziona. Ma come fa Renzi a sapere in anticipo quali saranno i dati dell’Istat?Haunsofisticatosistema di previsioni a Palazzo Chigi che gli permette di bruciare sul tempo le statistiche ufficiali? Strano che nessuno ne sappia nulla.Oppure ha talpe dentro l’Istat che gli sussurrano i numeri in anteprima?Difficile. O forse è un tentativo di fare pressione sul presidente Alleva, in modo che aggiusti di qualche decimale le previsioni? La risposta più probabile è che, in realtà, dei dati reali a Renzi e ai suoi importi molto poco: l’obiettivo, finora raggiunto, è di creare la più totale confusione statistica, tra stime, dati a consuntivo, monitoraggi amministrativi e indagini a campione, stime preliminari e revisioni.
Se in Grecia – o Cina – il sospetto sui dati riguarda l’indipendenza dal potere politico di chi li fornisce, in Italia Renzi sta riuscendo a rendere irrilevanti i numeri come strumento di valutazione del successo di una politica pubblica. Ce ne sono troppi, volutamente confusi (dal governo e dai giornali), troppo frequenti. Così tutto diventa un’opinione. E l’opinione più forte è quella di chi detiene il potere.
Stefano Feltri
Il Fatto Quotidiano 02.09.2015