Analisi di due anni in Parlamento: tra errori dell’inizio, strategie che hanno pagato e occhi aperti su chi è in cerca di poltrone.
Nel direttorio voluto da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio per governare i Cinque Stelle, Roberto Fico è quello che ha l’orecchio più a terra. Ha la delega ai meet up, la base in carne e ossa del movimento nato sul web. Quelli che nei partiti di oggi sono stati ribattezzati “circoli” e che un tempo conoscevamo come “sezioni : le chiamavano così anche nella Democrazia Cristiana che ieri, a sorpresa, Ilvo Diamanti ha paragonato proprio all’M5S . La nuova Balena (gialla) è quel soggetto politico che acchiappa voti da operai e dirigenti, che supera le tradizionali divisioni tra destra e sinistra e che i sondaggi danno ormai stabilmente attorno al 25 per cento (Diamanti azzarda anche un paio di punti in più).
Fico, siete offesi o lusingati?
Lasciamo perdere il paragone con la Dc. Io dico che è vero: siamo un partito popolare e post-ideologico.
Loro vincevano le elezioni, voi per il momento no.
Dopo due anni credo che possiamo fare due valutazioni certe: possiamo definitivamente dire che siamo riconosciuti dai cittadini come una alternativa credibile e possiamo altrettanto definitivamente sostenere che quel “no” a Bersani è stata una strategia vincente.
Il rifiuto delle alleanze ha pagato?
Un terzo dei vostri elettori sarebbe favorevole ad accordi di governo. È stata una scelta che ci ha fatto soffrire, si è aperto un grosso dibattito nel Paese. Ma la maggioranza dei nostri elettori rispecchia la nostra linea: le intese si cercano solo su specifici provvedimenti.
Diamanti sostiene che la vostra trasversalità non vi consente di avere posizioni definite su alcuni temi sensibili come l’immigrazione, i diritti civili...
Sul l’immigrazione abbiamo presentato una mozione per lo stop del Trattato di Dublino che ha raccolto i voti di quasi tutta la Camera. Sui diritti civili, è vero, ci sono posizioni diverse. Ma non era un punto del nostro programma: se servirà, consulteremo la base sul blog.
I meccanismi della vita parlamentare spesso richiedono tempi di reazione più rapidi. Non rischiate di arrivare impreparati?
All’inizio su questo abbiamo incontrato grandi difficoltà: conciliare i nostri strumenti di partecipazione con i regolamenti di Camera e Senato è stato un inferno.
In alcuni casi, penso all’emendamento per l’abolizione del reato di clandestinità, l’intraprendenza dei singoli non è stata gradita. E poi ci sono state le espulsioni e i processi interni.
Nei primi mesi ci siamo fatti del male, abbiamo parlato troppo di noi: dalle assunzioni ai rendiconti, siamo stati autoreferenziali. Ma ora abbiamo raggiunto un grande equilibrio. Siamo molto più centrati. E anche chi non ci vota ci fa sapere che è contento che il Movimento Cinque Stelle esista.
Quando si comincia a stare troppo simpatici, cè da preoccuparsi.
Il lavoro che sto facendo nei meet up è proprio questo: ribadire i nostri valori e i nostri principi. Non dobbiamo perdere di vista i nostri obiettivi. Serve un ritorno alla semplicità.
Voi che eravate gli storici animatori del M5S sul territorio siete finiti tutti a Roma. E gli spazi vuoti si riempiono sempre. Com’è la seconda ondata di attivisti ?
Nei meet up si continua a fare un gran lavoro. Ma è ovvio che c’è stato un bisogno di rinnovata partecipazione.Il grande tema da affrontare è che questa partecipazione dovrebbe essere svincolata dalle candidature. Occuparsi della cosa pubblica significa fare squadra, fare pressione sulle amministrazioni. È quello che abbiamo sempre fatto.
C’è una crisi delle vocazioni?
Quando comincia ad esserci la possibilità di diventare, per dire, consiglieri regionali c’è il rischio che parta la rincorsa alle candidature. E così non va.
Anticorpi al virus da poltrona?
Ho cominciato a curare la sindrome da passerella. Si facevano troppi eventi con noi parlamentari. Sembrava quasi che non si potesse più fare una assemblea pubblica senza che ci fosse una faccia conosciuta. Ma noi le abbiamo sempre fatte senza! Il contributo del parlamentare può servire perché ha dei poteri (penso alle ispezioni nei cantieri) che dobbiamo usare. Ma non dobbiamo dipendere da loro: è lo stesso che vale per Beppe e Gianroberto. Loro ci sono, sono i garanti, ci aiutano a non smarrire la direzione. Ma devono intervenire solo quando serve.
Paola Zanca
Il Fatto Quotidiano 14.07.2015