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Sorpresa: ci sono i tagli e ci sono le tasse

Conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministriNella presentazione del Documento di economia e finanza il premier Matteo Renzi ha fatto due promesse impegnative: niente tagli e niente nuove tasse. Ora che, oltre al comunicato stampa di Palazzo Chigi, si possono consultare i documenti che verranno approvati nel Consiglio dei ministri di venerdì è tutto più chiaro.
PARTIAMO DALLE TASSE. Nel Programma di Stabilità che il ministero del Tesoro manderà a Bruxelles, nell’ambito del negoziato con la Commissione europea che porterà alla legge di Stabilità in autunno, si legge che le entrate continueranno a crescere nei prossimi anni: “In termini netti aumentano di 6,6 miliardi nel 2016, 13,2 miliardi nel 2017, 17 miliardi nel 2018 e 19,3 miliardi nel 2019”. Dal prossimo anno, infatti, scattano le clausole di salvaguardia previste “dal – la Legge di Stabilità 2015” (cioè dal governo Renzi a fine 2014) che valgono “12,8 miliardi nel 2016, 19,2 miliardi nel 2017 e circa 22 miliardi a decorrere dal 2018”. Cioè un ulteriore aumento delle aliquote Iva – fino a 3,5 punti in più nel 2018 – e delle accise sulla benzina. Eppure Renzi ha detto in conferenza stampa che “le clausole di salvaguardia le abbiamo totalmente eliminate”. Ma non è vero. Soltanto l’incremento fiscale previsto per il 2015 è stato evitato. E con una copertura assai dubbia: il calo del costo del debito grazie alla bonaccia sui mercati, il miglioramento delle stime di crescita e tagli di spesa pari allo 0,6 per cento del Pil (circa 8 miliardi) che ancora non si sono materializzati. Il totale delle entrate in rapporto al Pil è previsto al 48 per cento nel 2015, cresce al 48,5 nel 2016 e poi inizia a diminuire in modo quasi impercettibile fino al 47,9 del 2019.
La pressione fiscale, che misura il peso delle tasse sulla ricchezza prodotta in un anno, continua a salire: dal 43,5 del 2015 al 44,1 di 2017 e 2018, poi 44 nel 2019. Il governo spiega però che, considerando l’effetto del bonus 80 euro (che dal punto di vista contabile sono un aumento di spesa e non una riduzione di tasse) ci sono 10 miliardi di imposte in meno e quindi la pressione fiscale “vera” nel 2015 è 42,9 per cento. E veniamo ai tagli. L’unico modo per evitare le clausole di salvaguardia è tagliare la spesa in modo da ottenere un risparmio pari al mancato gettito aggiuntivo. Si legge nel documento che “per gli enti locali proseguirà il processo di efficientamento già avviato nella legge di Stabilità 2015 attraverso l’utilizzo di costi e fabbisogni standard per assegnare le risorse centrali alle singole amministrazioni e la pubblicazione dei dati di performance e dei costi”. Lo scopo è recuperare, già dal 2016, lo 0,6 per cento del Pil con la revisione della spesa, cioè oltre 9 miliardi di euro. Quindi altri tagli che, è la promessa, colpiranno soprattutto gli sprechi nelle singole aziende municipalizzate e sanitarie locali, ma visto che il governo centrale non ha modo di intervenire a quel livello di dettaglio l’arma definitiva sarà comunque quella dei tagli lineari.
Nel Pnr, il Programma nazionale di riforme che dettaglia gli interventi da sottoporre a Bruxelles viene spiegato nel dettaglio: “Dopo gli importanti risultati ottenuti nel 2014, il governo prevede di realizzare ulteriori risparmi e rimuovere la restante parte delle clausole di salvaguardia con interventi anche di riduzione delle spese e delle agevolazioni fiscali per almeno 10 miliardi nel 2016 e 5 miliardi nel 2017”. È chiaro che ridurre le agevolazioni fiscali per qualcuno significa che quel contribuente pagherà più tasse. È matematico.
LE PROTESTE DEI SINDACI riguardano soprattutto tagli già decisi in passato che stanno iniziando a produrre i loro effetti adesso e il contenzioso su 625 milioni di euro che il governo dovrebbe versare per tappare il buco aperto ai tempi dell’abolizione dell’Imu prima casa. Proprio quella vicenda allarma gli amministratori: nel Pnr si preannuncia la “semplificazione delle imposte locali” dal prossimo anno. Tra le novità, questa: durante il 2015 sarà applicata la delega fiscale per superare il criterio della spesa storica nell’assegnazione delle risorse (i Comuni hanno trasferimenti in base a quanto hanno speso in passato) per passare a un calcolo su quanto servirebbe loro davvero se fossero efficienti. Già da quest’anno, il 20 per cento dei trasferimenti sarà assegnato in base a fabbisogni standard (i costi minimi per le prestazioni) e capacità fiscale (quante tasse può pagare il territorio). I sindaci che non riescono o non possono diventare efficienti abbastanza in fretta dovranno scegliere se alzare le tasse locali o tagliare i servizi. 

Stefano Feltri
Il Fatto Quotidiano 09.04.2015

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