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Nero Isis, nero petrolio

isis_petrolio«Una ventina di anni fa ero un buon cacciatore e andavo molto spesso a caccia. Avevo due cani, un bracco tedesco e un setter, e, cominciando all’alba e finendo a sera, su e giù per i canaloni, i cani erano stanchissimi. Ritornando a casa dai contadini, la prima cosa che facevamo era dare da mangiare ai cani e gli veniva dato un catino di zuppa, che forse bastava per cinque. Una volta vidi entrare un piccolo gattino, così magro, affamato, debole. Aveva una gran paura, e si avvicinò piano piano. Guardò ancora i cani, fece un miagolio e appoggiò una zampina al bordo del catino. Il bracco tedesco gli dette un colpo lanciando il gattino a tre o quattro metri, con la spina dorsale rotta. Questo episodio mi fece molta impressione. Ecco, noi siamo stati il gattino».
Enrico Mattei raccontava questa storiella il 23 marzo del 1961. Ma la passività con cui l’Italia ha subito le crisi di Afghanistan, Iraq, Libia e Ucraina la rende di estrema attualità.

Il petrolio e la politica estera
Il petrolio continua a veicolare tutti i fili di una politica estera interventista che pone oggi più che in ogni altra epoca nel passato il mondo di fronte a scenari potenzialmente drammatici.
La Libia, per citare solo l’ultimo esempio, è la dimostrazione ultima di come un intervento armato (2011) in paesi arabo/musulmani peggiora sempre la situazione sul campo ed è strumentale solo a un obiettivo: le agende energetico-finanziarie delle multinazionali occidentali. Dal 2001 ad oggi, 4400 miliardi di dollari spesi e 36 nuove sigle terroristiche dopo, questa strategia, tuttavia, viene ancora considerata come lo strumento a cui fare riferimento. E la ragione è sempre la stessa: la sete di petrolio. Non da oggi, del resto, l’oro nero detta e condiziona le relazioni tra i paesi.

La morte di Mattei
Dalla cosiddetta Convenzione Sinclair, nella quale emerge la corruzione del regime fascista con una delle sette sorelle, la “Sinclair oil”, per il monopolio della ricerca petrolifera in Italia e nelle colonie (soprattutto in Libia), fino al delitto Mattei e quello di Pasolini, la storia del petrolio in Italia è emblematica di quanto destabilizzante possa essere per le relazioni pacifiche tra le nazioni quello che per molti paesi il suo possesso è un’autentica maledizione. Alcuni sostengono che lo stesso Matteotti venne assassinato proprio perché venuto in possesso di documenti che avrebbero testimoniato la corruzione del regime fascista rispetto alla concessione petrolifera in Libia. Enrico Mattei, manager pubblico dell’Eni con il sogno di affrancare il paese dal dominio delle sette sorelle affermava: “Per la benzina e il gasolio noi abbiamo potuto trasferire ai consumatori il beneficio di essere produttori diretti e di aver comprato ad un prezzo conveniente senza più intermediari”. Un uomo del popolo italiano, credibile nei paesi produttori del terzo mondo con i quali riusciva ad ottenere intese economiche che infastidirono molti all’epoca. Mattei fece uscire l’Italia dal cartello delle sette sorelle, ma, con la sua morte e l’ascesa di Cervis alla guida dell’Eni, l’Italia tornò presto ad essere esecutrice fedele dei dettami atlantici.

La morte dell’AD di Total
Recentemente un caso simile a quello di Mattei è stato quello di Christophe de Margerie, l’amministratore delegato di Total (il 13° produttore di petrolio al mondo e il secondo d’Europa). “Non vi è alcun motivo di pagare il petrolio in dollari“, aveva dichiarato. De Margerie, come Mattei a suo tempo, aveva capito che il mondo si muoveva in un’altra direzione e aveva cercato di non restare travolto dagli eventi di un processo di de-dollarizzazione che vede i Brics affrancarsi ormai dal dominio del petrol-dollaro. Tre mesi dopo quella dichiarazione, a Mosca per firmare una serie di nuovi accordi di cooperazione con Gazprom, De Margerie, come Mattei prima di lui,muore in un incidente aereo dalla dinamica ancora molto torbida.

Petrolio e guerra
Il petrolio ha dettato e continua a dettare le scelte di politica estera in tutte le crisi che dal 2001 ad oggi hanno reso il nostro pianeta un posto estremamente pericoloso ed una polveriera pronta ad esplodere. Pur essendo irrilevante il suo peso come produttore di petrolio e gas naturale, l’Afghanistan riveste una rilevante importanza strategica nella lotta per il controllo del mercato petrolifero: è il Paese chiave della lotta in corso da anni per il controllo delle risorse energetiche dell’Area del Caspio. In Iraq prima dell’invasione statunitense americana la produzione era di 2,8 milioni di barili al giorno. A seguito delle privatizzazioni e dell’arrivo delle multinazionali occidentali, la produzione petrolifera irachena è aumentata di oltre il 40 per cento in cinque anni ma l’80 per cento del prodotto, oggi viene esportato lasciando la popolazione locale in una paradossale precarietà energetica, infine, la Libia ha le maggiori riserve accertate di petrolio in tutta l’Africa, pari a 48 miliardi di barili, (le quarte di gas naturale… Ardito Desio c’aveva visto lungo) ma dopo la cacciata violenta di Muammar Gheddafi, la produzione di petrolio e le esportazioni sono crollate a causa dello scontro tra le fazioni in lotta per il controllo della regione. La Libia possiede circa il 3,5% delle riserve mondiali di petrolio, più del doppio di quelle degli Stati Uniti e, con 46,5 miliardi di barili di riserve accertate, (10 volte quelli d’Egitto), supera la Nigeria e l’Algeria (Oil and Gas Journal). La Libia produceva circa 1,7 milioni di barili prima del conflitto del 2011. Secondo le statistiche del Middle East Economic Survey (MEES), la produzione nei primi mesi del 2014 si è attestata tra i 200 mila e i 500 mila barili al giorno.

Gheddafi e gli investimenti italiani
Con Gheddafi al potere, la Libia, attraverso il suo partner di riferimento principale l’italiana ENI, produceva circa 1,5 milioni di barili di greggio, oltre che 10 miliardi di metri cubi di gas l’anno, che venivano esportati in Europa e negli USA. Dopo la guerra civile per bande frutto dell’intervento Nato del marzo del 2011, la produzione e la commercializzazione è scesa a circa un terzo, rendendo necessario agli Stati europei l’approvvigionamento energetico presso altri paesi produttori, dagli Emirati alla Nigeria, posta anche la potenziale ‘guerra fredda’ innescata con l’altra grande tetta energetica per l’Europa, la Russia, dopo la crisi geopolitica dell’Ucraina. Quando era Gheddafi al potere, gli investimenti italiani ammontavano a circa un miliardo di euro nelle grandi opere (Impregilo), 740 milioni nelle ferrovie (Ansaldo), 125 milioni nelle infrastrutture stradali (Anas), 68 milioni nelle telecomunicazioni (Sirti), 60 milioni da piccole e medie imprese. Prima dell’abbattimento del regime, il primo partner libico era l’Italia, che usufruiva del 28% della produzione complessiva, agente in loco con l’Eni (maggiore produttore straniero di petrolio nel Paese nordafricano prima della guerra civile) fin dal lontano 1959, rapporto ulteriormente rafforzato dopo l’accordo Gheddafi-Berlusconi del 2008. Seguivano a scalare, la Francia, con il 15%, la Cina con l’11% e la Germania (10%); le briciole alle compagnie americane. Il governo provvisorio dei ribelli ha già fatto intuire che gli accordi petroliferi saranno rivisti, favorendo le compagnie dei Paesi che hanno militarmente contribuito all’abbattimento del regime.

La Libia post Gheddafi
Per esempio, la Francia, che è stata la prima a partire con operazioni militari e a riconoscere il consiglio nazionale transitorio. Non a caso, il 3 aprile scorso esce la notizia che tra il CNP libico e il governo francese, grazie alla mediazione dell’Emiro del Qatar Hamad bin Khalifa, la società francese Total si sarebbe assicurata il 35% di tutto il petrolio libico. Con una quota del 35%, l’azienda francese si accaparrerebbe 400.000 barili giornalieri, superando abbondantemente la parte dell’Eni, ferma a 116.000, ma destinata a scendere ulteriormente. Seppure in tono minore, l’inglese BP dovrebbe usufruire di quote superiori a quelle precedenti. Anche per gli Stati Uniti, discretamente presenti nella iustum bellum come supervisori Nato delle operazioni militari, l’interesse petrolifero è ben presente a favore delle proprie compagnie quali la Exxon Mobil e la Chevron. L’operazione militare del 2011 ha quindi avuto come scopo “a lungo termine” quello di ristabilire l’egemonia anglo-statunitense nel Nord Africa, una regione storicamente dominata da Francia e in misura minore, da Italia e Spagna. E’ un fatto che le compagnie petrolifere francesi e inglesi (Total e BP) non vedevano l’ora di prendere il posto di ENI nel cuore di un governo libico.

Gli interessi anglo-americani
Nel 2011 il valore di mercato del petrolio greggio era ben al di sopra dei 100 dollari al barile mentre il costo estrattivo del petrolio libico era estremamente basso, a partire da 1 dollaro al barile: a 110 dollari sul mercato mondiale, il margine di profitto 109 $ per barile (fonte EnergyandCapital.com 12 Marzo 2008) Il Financial Times ha osservato correttamente: “L’Italia è stata trascinata in una guerra che avrebbe preferito evitare, temendo che un asse Parigi-Bengasi potesse interferire con i suoi notevoli interessi nel petrolio e il gas della Libia“. L’intervento del 2011, in ultima analisi, ha servito gli interessi delle imprese petrolifere angloamericane, come l’invasione del 2003 e l’occupazione dell’Iraq. Wall Street, i giganti petroliferi anglo-americani, i produttori di armi USA-UE ne sono stati i soli beneficiari. Lo stesso è accaduto in Iraq.
Infatti nel 2011, anno in cui si chiuse formalmente il conflitto in Iraq, le truppe statunitensi e le compagnie mondiali del greggio hanno fatto staffetta, si sono date il cambio con l’obiettivo di avviare un restyling completo dell’industria petrolifera nazionale. Prima dell’invasione del 2003, l’industria petrolifera nazionale irachena era completamente nazionalizzata e chiusa alle compagnie petrolifere occidentali. Dopo un decennio di guerra, il petrolio iracheno non è stato ancora formalmente privatizzato, ma de facto è quello che è avvenuto, con le imprese private ancora nel paese dopo la fuga nel 1973. Questa risorsa di grande valore è stata consegnata principalmente alle società statunitensi ExxonMobil e Occidental Petroleum, alla British Petroleum (Inghilterra) e alla Royal Dutch Shell (Olanda e Inghilterra).

Situazione esplosiva: come negli anni ’30
Negli anni precedenti all’invasione della Germania della Polonia, preludio della seconda guerra mondiale, il mondo conobbe un crollo drammatico nei prezzi del petrolio e un’accumulazione enorme delle riserve petrolifere da parte degli Stati. Questi spostamenti nei mercati petroliferi globali correvano in parallelo con ladeflazione figlia della grande crisi del 1929 e le politiche monetarie e fiscali restrittive scelte negli anni ’30. Oggi viviamo più o meno lo stesso scenario: le riserve invendute di petrolio aumentano costantemente e la deflazione globale si intensifica. Gli Usa e la Cina stanno entrambe aumentando le loro Global Strategic Petroleum Reserves, con i barili che si ammassano in Cushing, Oklahoma, e nelle province cinesi. La narrativa ufficiale parla di indipendenza energetica americana e di vantaggi della Cina come importatore. Ma anche altri paesi stanno portando avanti la stessa strategia e l’accumulazione delle riserve petrolifere aumentano ogni giorno. Prima della seconda guerra mondiale quella strategia era dettata dalla volontà degli Stati di avere scorte sufficienti per tutti i prodotti a base petrolifera necessari per una guerra su larga scala. Ed oggi?

L’Italia è il “gattino” citato da Mattei
Il caso della Libia dimostra che noi stiamo tornando ad essere quel “gattino” di cui parlava Mattei. E senza avere un piano alternativo rischiamo di ritrovarci con le ossa rotte sbalzati dal bracco francese…ops…tedesco.
Sotto la presidenza di Enrico Mattei l’ENI negoziò rilevanti concessioni petrolifere in Medio Oriente e un importante accordo commerciale con l’Unione Sovietica, iniziative che contribuirono a rompere l’oligopolio delle ‘Sette sorelle‘, che allora (come adesso?) dominavano l’industria petrolifera mondiale. Mattei introdusse inoltre il principio per il quale i Paesi proprietari delle riserve dovevano ricevere il 75% dei profitti derivanti dallo sfruttamento dei giacimenti. Principio di compensazione nei confronti dei popoli che vedono depredare le loro risorse che oggi possiamo soltanto sognare.

Il coraggio di essere italiani
Se vogliamo che stati sovrani non vengano distrutti per le agende petrolifere delle multinazionali occidentali dobbiamo ritagliarci i nostri spazi e far valere la nostra posizione geografica e la nostra intelligenza collettiva. Possiamo avere un ruolo non subordinato alle grandi potenze? Certamente. Possiamo sperimentare fonti alternative di energia in maniera diffusa per sfuggire ai dettami del dio petrolio? Certamente. Bisogna solo ritrovare l’arguzia politica e il coraggio di Enrico Mattei. Il coraggio di essere italiani.” Carlo Sibilia e la commissione Esteri M5S

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