Secondo me non l’ha capita”. Matteo Renzi e la Silicon Valley. Il viaggio del premier nel più grande distretto tecnologico del mondo (sede di colossi come Google o Apple) ha colpito gli americani, “conquistandoli”, ha sentenziato entusiasta la stampa italiana. “Dal dibattito di queste settimane, dubito che ne abbia capito i meccanismi”, spiega invece l’economista Mariana Mazzucato, ospite a Roma della Maiker Faire, la fiera dell’innovazione tecnologica. L’autrice del “brillante” (giudizio del Financial Times) Lo Stato innovatore (Laterza), romana d’origine e inglese d’adozione, si accalora quando le ricordano che il suo lavoro è finito nella libreria del premier: “Non è servito. È sconsolante che discuta di articolo 18 e di riforma del mercato del lavoro come se fossero una priorità, con la solita mistica del polo pubblico parassitario che va ridimensionato”, spiega al Fatto.
LA TESI DI QUESTA giovane docente all’Università del Sussex elogiata dalla bibbia del potere finanziario è nota: il vero agente dell’innovazione non è il mercato, o le multinazionali, neppure i pionieri visionari chiusi nei loro garage, tanto meno i fondi speculativi: è lo Stato. Quello che ha la pazienza e la possibilità di assumersi il rischio degli investimenti nella ricerca di base per produrre oggetti radicalmente nuovi. Un esempio? L’Iphone, “frutto di progetti finanziati con miliardi di dollari dallo Stato federale”. “Per fare questo – spiega – non basta la promessa di qualche sgravio fiscale o di sfoltire la burocrazia: servono gli investimenti, che in Italia sono ai minimi storici. Come si fa in questo contesto a parlare ancora dello Statuto dei lavoratori?”. Eppure è quello che sta avvenendo. “Renzi sta sbagliando tutto – spiega – È più interessato Landini all’economia dell’innovazione del premier”. Lei si sente con il segretario della Fiom? “Certo, è interessato al mio lavoro e in Ducati ha firmato accordi rivoluzionari. Non è vero che sanno dire solo no. Vengo ora dalla Svezia, dove il premier è un ex metalmeccanico, e lì il problema dei manager delle grandi aziende non è certo la flessibilità. Al massimo serve alle piccole imprese”. Quelle che però costituiscono buona parte del tessuto produttivo italiano: “Non hanno l’articolo 18, e non è vero che per questo restano piccole: la media è di tre addetti e la tutela scatta dopo i 15”. Il viaggio negli Usa, secondo Mazzucato, avrebbe dovuto ispirare al premier un concetto basilare: oltre a investire nella ricerca, occorre trattare con le aziende. “Obama – continua – ha permesso a Marchionne di acquistare Chrysler con soldi americani, ma l’ha obbligato a investire nei motori ibridi. Renzi si è limitato a guardare Fiat spostare la sede fiscale dove paga meno tasse”.
UNA MOSSA che però l’Ue contesta anche ai colossi tecnologici come Google e Apple. “È un crimine – dice l’economista – perché segano il ramo dove siedono. E il premier italiano non dovrebbe aiutarli”. Il riferimento è alla google tax, abolita all’indomani dell’insediamento a Palazzo Chigi: “Pensa di porsi come un amico delle multinazionali Usa, e invece è il vero nemico del sistema di investimenti pubblici che le ha fatte nascere. Il premier dovrebbe fargli pagare le tasse, non assecondarli: così facendo i veri capitali di Microsoft, Google o Apple continueranno ad andare altrove. Prostituirsi non serve”. Ancor meno, per Mazzucato, cercare scorciatoie, come ha fatto il governo di Tony Blair che provò a replicare il distretto californiano nella city londinese attirando i fondi speculativi: “È stato un fallimento. Renzi si ispira a lui ma la Silicon Valley è nata per iniziativa dello Stato federale non dei privati”.
di Carlo Di Foggia
Il Fatto Quotidiano 05.10.2014