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Del governo manicheo e della laicità di pensiero

renzi_senatoLa ripartizione con cui Renzi si appella al popolo e ne trae il consenso è ormai molto chiara e altrettanto interessante. Perché nella sua narrazione da un lato ci sono quelli che “si spaccano la schiena”, che “ci credono”, che “non fanno chiacchiere”; dall’altro lato ci sono tutti gli altri: i “salotti buoni”, i “professoroni”, i “gufi”, i “rosiconi”, quelli che “non ne azzeccano una da trent’anni”.

Testuale.

Molto interessante sopratutto per vaghezza, per indefinizione, la doppia lista dei buoni e dei cattivi: viene da chiedersi ad esempio in quale delle due categorie sarebbero da inserire persone come Alfano, Giovanardi, Verdini, Franceschini, Madia, Squinzi, Davide Serra: tutti alleati se non collaboratori del premier. Ma notevole è anche l’altra parte della barricata, quella dei frenatori, in cui Renzi mette insieme indistintamente tutti quelli che non sono completamente in linea con lui: da Rodotà ai milionari di Cernobbio, da Zagrebelsky al sindacato dei poliziotti.

Si chiama manicheismo e fa abbastanza schifo: perché qualsiasi critica a qualsiasi azione del governo viene in automatico delegittimata. Se fai notare che la riforma del Senato è scarsa, sei un gufo; se osi mettere in dubbio l’efficacia dell’azione economica del governo, sei un rosicone; se non sei d’accordissimo con l’aumento della precarizzazione o delle spese militari, sei un radical chic dei salotti buoni.

In sostanza, si nega il diritto di criticare laicamente – e argomentativamente – una decisione del potere esecutivo. Il che, in democrazia, non è sanissimo: essendo la democrazia quel sistema che si nutre della contrapposizione dialettica e argomentativa tra maggioranza e opposizione, di fronte alla quale un’opinione pubblica informata poi decide chi ha ragione sulla base, appunto, delle cose e degli argomenti.

A ciò si aggiunge, in questa devastazione mentale, l’argumentum ad populum («Taci tu, che abbiamo preso il 41 per cento»): un meccanismo retorico la cui fallacia logica è stata abbondantemente dimostrata, ma che in condizioni di scarsa lucidità ha ancora il suo effetto. La usavano molto anche i berlusconiani, in passato, e non so in quanti talk show a un certo punto i vari Gasparri o Biancofiore mi rispondevano che io avevo torto – sul Lodo Alfano o sul Legittimo impedimento – per il semplice fatto che loro avevano vinto le elezioni.

Personalmente, cerco di non cascarci e consiglio a tutti di fare altrettanto.

Non cascarci vuol dire non cadere nel tranello, non accettare la divisione manichea e non perdere la propria laicità: contestando, se è il caso, l’operato del governo sulle cose, sugli argomenti, sui fatti; lodando eventuali decisioni che ci sembrano ben fatte; rifiutando – sempre – di avere a che fare con il calderone narrativo di Renzi (scusate, ma io ad esempio con la maggior parte dei signori che si sono visti a Cernobbio credo di avere in comune sì e no la natura umana, e di qualcuno la cittadinanza).

Non caschiamoci: non perdiamo la laicità mentale, l’onestà intellettuale, la libertà di pensiero. È la ricchezza più preziosa che abbiamo. E quella non può togliercela nessuno, a parte noi stessi, se ci caschiamo.

di Alessandro Gilioli
gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/

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