È la storia del gigante che mangia i suoi figli. Gli Stati Uniti d’America, in nome del dio del consumo senza scrupoli, del benessere a qualsiasi costo, e di Big Pharma, la lobby delle lobby (226 milioni di dollari investiti l’anno scorso contro i 153 del pianeta delle assicurazioni, i 144 di gas e petrolio e 141 di internet), hanno inculcato un nuovo dogma nella testa dei cittadini: lo psicofarmaco, mandalo giù che poi lui ti tira su, ma nessuno dice quanto fa male. Indicato anche se ti è morto il cane o il gatto, per superare il lutto. Il 1988 è l’anno che inaugura l’era degli antidepressivi: la Eli Lilly mette in commercio il Prozac (che in Europa inizierà a diffondersi verso la metà degli anni Novanta). A ruota arriva il resto degli antidoti contro paranoia, istinto suicida, disturbo bipolare, allucinazioni, attacco di panico, ansia, manie varie ed eventuali. L’impero liberale li somministra come il pane a merenda con spot pubblicitari in tv che promettono successo nella vita e felicità eterna al prezzo di magiche pilloline. E il risultato, da brividi, si vede e si conta: un americano su cinque oggi assume almeno uno psicofarmaco, tra antidepressivi, neurolettici e ansiolitici. Una tendenza esplosa a ritmi record: 25 anni fa solo un americano su cento si imbottiva di molecole del genere. Perfino i bambini sono diventati target ideale delle cure dell’umore: a oltre il dieci per cento di quelli che vanno già a scuola è stato diagnosticato il disturbo da deficit di attenzione (adhd), e alla metà di questi i medici prescrivono pasticche.
IL BUSINESS degli psicofarmaci oltreoceano vale circa 35 miliardi di dollari all’anno. Una miniera d’oro per le case farmaceutiche. Una manna che però non piove dal cielo a caso. Basta prima inventare un nuovo principio attivo (a volte non è neanche così nuovo, cambia l’eccipiente e il gioco è fatto), e dopo, sulla base del brevetto, sfornare l’ennesima malattia nervosa e così migliaia di pazienti, che mossi dall’istinto di sopravvivenza (loro o di chi li ama) si affideranno a psichiatri a sua volta istruiti a dovere dalle industrie del farmaco.
La bibbia di riferimento è il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, pubblicato dall’American Psychiatric Association (Apa) e giunto alla quinta edizione nel maggio 2013, che raccoglie sintomi di vecchia e nuova generazione allargando le maglie del malessere. Per cui “quello che ieri era un semplice sbalzo d’umore causato dall’arrivo delle mestruazioni, oggi, nel Dsm 5, è ufficialmente un disturbo”, dichiara Robert Whitaker, giornalista di Boston, noto in tutto il mondo per i suoi libri inchiesta sullo scandalo delle malattie costruite a tavolino e gli effetti dannosi degli psicofarmaci, cioè “Mad in America” del 2001 e “Indagine su un’epidemia: lo straordinario aumento delle disabilità psichiatriche nell’epoca del boom degli psicofarmaci” del 2010. “Una persona – continua il giornalista – è affetta da depressione se dopo due settimane dalla morte di un familiare mostra evidenti segni di tristezza. Anche la smemoratezza negli anziani è sdoganata come un disturbo. Sintomo di disfunzioni mentali anche le escoriazioni cutanee. Ma la cosa più terribile èche nel 1980, all’uscita della prima versione del manuale, stati lievi di ansia e depressione si sono trasformati in disturbi mentali da estirpare solo attraverso gli psicofarmaci”. Uno dei motivi del grande successo, secondo Whitaker, “è la complicità tra camici bianchi e ditte farmaceutiche, che si traduce anche in compensi in denaro per i primi in base ai dosaggi che riescono a prescrivere o quando scoprono nuovi sintomi e altre diagnosi”.
UNA TATTICA subdola che potrebbe incatenare l’essere umano alla dipendenza, peggiorarne le condizioni di salute e provocare effetti collaterali a catena. “Una ricerca americana su chi prende antidepressivi – spiega Whitaker – dimostra che c’è il rischio sei volte maggiore che restino depressi rispetto a chi non segue la cura. Secondo un altro studio fatto in Canada, la probabilità di ricadere nel disagio è addirittura doppio. Gli antidepressivi possono causare episodi maniacali e a quel punto viene diagnosticato all’individuo un disturbo bipolare”. Altro esempio. “Un ssri (inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina, ndr) in teoria dovrebbe aumentare il livello di serotonina nel cervello. Questo è vero nel breve periodo, ma a lungo andare il sistema nervoso produce meno serotonina per compensare la presenza della molecola. E alla fine danneggia la naturale funzione dei neurotrasmettitori”.
Ch. Dai.
Il Fatto Quotidiano 25.08.2014