Ha fatto bene Renzi a visitare Baghdad, dove ha incontrato il governo di quel che resta dell’Iraq, e poi anche il campo profughi di Erbil, dove ha parlato con i capi dell’enclave autonoma curda. Ha fatto male invece a non telefonare subito a Roma per bloccare le allegre ministre Mogherini & Pinotti che stavano incassando l’ok delle ignare commissioni Esteri e Difesa all’invio di armi ai curdi. Ciò che il premier ha visto e sentito in Iraq era più che sufficiente per indurlo ad archiviare l’idea balzana di spedire una carrettata di vecchi kalashnikov, missili e razzi anticarro di fabbricazione sovietica sequestrati nel lontano 1994 alle milizie croate e da allora giacenti nei magazzini del nostro esercito. Che si guardava bene dall’usarli, il che la dice lunga sulla loro efficienza. Qui non si tratta di fare del pacifismo a buon mercato: anche le missioni di pace e i corridoi umanitari esistono grazie alla protezione armata. Qui si tratta di domandarsi chi stiamo armando, con quali armi, con quali procedure e contro chi verranno usate non solo oggi, ma anche domani.
1) Chi stiamo armando? I guerriglieri curdi, che si oppongono alle milizie jihadiste sunnite del Califfato (Isis), anch’esse dotate di armi occidentali ereditate dagli arsenali di Saddam Hussein, e animate da spirito di vendetta dopo l’umiliazione subita dai sunniti con la sconfitta saddamita e la salita al potere di un regime sciita. Dunque al momento i curdi che andiamo ad armare sono alleati degli sciiti, sostenuti dall’Iran, che fino a qualche anno fa erano la bestia nera dell’Occidente. Chi ci garantisce che le nostre armi non passino dai curdi agli sciiti che fra qualche anno ci toccherà disarmare quando decideremo di reiscriverli all’albo dei terroristi?
2) Con quali armi? Il capo di gabinetto del presidente della regione autonoma curda Fuad Hussein spiega al Corriere che ai suoi soldati occorrono “blindati anti-mina, armi anticarro nuovo modello, visori per la guerra notturna ed elicotteri da guerra”. Noi, per tutta risposta, inviamo i ferrivecchi di cui sopra: c’è da sperare che i curdi non ce li rimandino indietro con spedizione a carico del destinatario. La Germania, che è la Germania, ha deciso di inviare caschi e giubbotti antiproiettile, che almeno servono a qualcosa. E la Svezia ha comunicato: “Non siamo una potenza in campo militare, mentre lo siamo in campo umanitario, quindi invieremo cibo, medicinali e soccorsi”. Un discorso serio che avremmo dovuto fare anche noi: invece due mesi fa il governo ha tagliato i progetti umanitari all’Iraq e ora se la tira da superpotenza militare con i fondi di magazzino per soddisfare gli uzzoli interventisti della Pinotti, in corsa per il Quirinale, e della Mogherini, ansiosa di accreditarsi in Europa per l’inutile poltrona di Mister Pesc (lesso).
3) Con quali procedure? Il premier dimissionario iracheno al Maliki e quello incaricato al Abadi han chiesto a Renzi di non consegnare le armi ai curdi, ma al governo di Baghdad, mentre il presidente dell’enclave curda Barzani gli ha chiesto di spedirle direttamente a lui. Il perché è semplice: il governo filosciita iracheno detesta cordialmente i curdi, che ricambiano con interessi, rivendicando la propria indipendenza e profittando della guerra al Califfo per farsi il proprio stato. “Una soluzione di compromesso – dice Renzi al Corriere – potrebbe essere far arrivare le armi a Erbil, ma consegnarle a un inviato di Baghdad”. La classica farsa all’italiana: per armare i curdi, diamo le armi a un inviato del governo che odia i curdi, e poi se la vedano loro. Ma non si esclude un’altra furbata: io le armi le lascio qui, per non saper né leggere né scrivere, e il primo che passa se le prende. Del resto – secondo le cronache, depurate dalla retorica sulla “storica visita” e sullo “scout Matteo” – Renzi ha promesso ad al Maliki “il rispetto della sovranità irachena”. Impegno che fa a pugni con le armi alla regione curda che Baghdad non riconosce, anzi osteggia. Finirà come al solito, con l’Italietta alleata contemporaneamente di due nemici che si odiano. Così ci guadagneremo la prestigiosa carica di Mister Pesc In Barile.
di Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano 22.08.2014