“E’ l’economia, stupido“. Se Matteo Renzi, uno studente appassionato di politica americana, avesse prestato più attenzione allo slogan di successo inventato per la campagna presidenziale di Bill Clinton nel 1992, potrebbe essere in una posizione migliore di quella in cui si trova oggi. Il 6 agosto l’Istat ha rivelato che l’Italia è di nuovo in recessione. Stime preliminari suggeriscono che il PIL è diminuito dello 0,2% nel secondo trimestre del 2014, dopo un calo dello 0,1% nel primo trimestre.
Questo è stato il peggior colpo per il primo ministro dall’inizio del suo mandato nel mese di febbraio. Nessuno si aspettava una prestazione così scarsa. Le previsioni indicavano una variazione tra lo 0,1% e il -0,1%. Se la stima sarà confermata, vorrà dire che la crescita del secondo trimestre è la più debole di sempre a partire dal 2000.
Il ministro delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha fatto buon viso a cattivo gioco sui numeri indicando un aumento incoraggiante della produzione industriale nel mese di giugno. Ma l’inversione delle fortune economiche dell’Italia avrà un effetto profondamente demoralizzante su una nazione che pensava che il peggio fosse passato. Essa potrebbe influenzare negativamente le decisioni in materia di investimenti, occupazione e consumi.
La notizia della recessione lascia anche un’ammaccatura enorme nella credibilità della strategia complessiva del governo. Il signor Renzi ha fatto una scommessa: che l’economia avrebbe recuperato senza bisogno di molte riforme strutturali, in modo da poter andare andare avanti con quello che lui ha giudicato il business più importante: il cambiamento istituzionale. Quando i dati sul PIL sono venuti fuori, il primo ministro si è rinchiuso con Silvio Berlusconi, il leader del secondo più grande partito di opposizione in Italia, cercando di concordare una nuova legge elettorale, la seconda fase nel loro piano ambizioso per una forma più efficace e stabile di governo. I membri del Senato hanno approvato il disegno di legge per attuare la prima fase del progetto, di sopprimere il potere del Senato.
Lo stratagemma principale del signor Renzi per stimolare la crescita sono stati 80 euro in meno di tasse mensili per i lavoratori a basso reddito. Anche questa mossa aveva un sapore politico, perché ha aiutato il premier a tacitare l’ala sinistra del suo partito e a ottenere una vittoria impressionante alle elezioni europee di maggio. Ma questa settimana il capo dell’associazione dei commercianti ha detto che l’impatto della riduzione delle imposte sul consumo interno è stata “quasi invisibile“.
Altre iniziative di crescita sono in pista, in particolare la legislazione per riavviare progetti di costruzione. Ma, a differenza delle riforme per la liberalizzazione, la privatizzazione e quella del mercato del lavoro, i progetti per la realizzazione di infrastrutture hanno bisogno di denaro per poter partire. Anche prima dello shock del PIL della scorsa settimana, il governo stava lottando per trovare le risorse di cui ha bisogno. Il 4 agosto ha ritirato i suoi piani per portare avanti il pensionamento dei docenti scolastici e universitari dopo che la tesoreria ha obiettato che non c’è abbastanza denaro per pagarli. I programmi di spesa del governo per il resto del 2014 si basano su un presupposto di una crescita dello 0,8% entro la fine dell’anno, che ora sembra probabile come una nevicata estiva in Sicilia.
Se l’Italia vuole rispettare i propri impegni di riduzione di bilancio della zona euro, senza aumentare le tasse, saranno necessari tagli alla spesa profondi (di 15, 20 miliardi secondo i più). Ma se il governo non agisce rapidamente per liberare i mercati e favorire la razionalizzazione e l’efficienza, c’è il rischio che i tagli faranno ulteriormente calare la domanda accelerando la spirale discendente in cui l’economia è intrappolata.
Il signor Renzi, un appassionato di tecnologia digitale, il mese scorso ha paragonato il suo programma di riforma costituzionale con il PIN di un telefono cellulare. E’ solo dopo aver digitato il numero, ha spiegato, che il telefono funzionerà. Ma cosa succede se nel frattempo la batteria si è scaricata?” The Economist