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Intervista a Vendola «Diamo Aqp ai Comuni per non privatizzarlo»

La-firma-a-CaposeleBARI – La gestione dell’Acquedotto Pugliese dovrà passare al più presto possibile ai Comuni «come barriera alla mercificazione dell’acqua». Serviranno però meccanismi di governance «che evitino invasioni clientelari» da parte della politica. Il presidente della Puglia, Nichi Vendola, ci lavora da mesi. Ne ha parlato a lungo, dopo l’insediamento del governo Renzi, con il sottosegretario Graziano Delrio, con il quale ha concordato una strategia: «Oggi – dice Vendola – ci sono le condizioni giuste per portare a termine un percorso politico e culturale» in cui rientra anche la revisione degli accordi con la Basilicata sull’acqua all’ingrosso: «Serve un confronto tra tutte le Regioni del bacino idrografico meridionale, e sulle grandi questioni deve intervenire lo Stato».Forse è il caso di partire dall’Acquedotto che ha trovato 10 anni fa. Che cosa è cambiato?

«Ciò che abbiamo fatto è liberare Aqp dall’alea di mastodontico carrozzone clientelare, una azienda pubblica che nell’immaginario comune era assediata da stereotipi cattivi. Fondati, però, su punti di verità. Al netto del clientelismo che ha segnato diverse stagioni, il problema maggiore era il ritardo insostenibile con cui si è affrontata la sfida di modernità chiesta all’azienda: penso alla ricerca delle perdite, alla vetustà di sistemi di governo di una rete che perdeva il know how dei vecchi fontanieri e non godeva ancora dei frutti del telecontrollo. Ed è stato, questo, anche il motivo delle frizione iniziale con un management vicino alle idee dell’acqua pubblica: Aqp è una azienda pubblica e andava risanata anche nella governance. Facevo fatica a parlare di acqua pubblica quando c’erano 40 Comuni del Salento che l’acqua proprio non la avevano. Oggi questo è alle nostre spalle».

Sull’acqua pubblica la Regione ha già fallito una volta, con la legge di ripubblicizzazione che è stata giudicata incostituzionale. Cosa avete imparato da quella esperienza?

«Dopo aver strutturato il processo di risanamento di cui dicevo prima, abbiamo badato a renderlo immodificabile. Poi abbiamo lanciato quell’operazione politica che ci è stata bocciata dalla Corte Costituzionale. L’unica spiegazione che posso darmi, perché le opinioni devono sempre confrontarsi con i fatti, è che non avevamo alcuna titolarità a decidere sulla configurazione giuridica di una azienda che ci era stata trasferita dallo Stato con un vincolo preciso, quello di privatizzarla, a cui noi volevamo programmaticamente disobbedire».

Proviamo a dirlo con argomenti ma pratici. Perché si oppone alla privatizzazione?

«Perché la privatizzazione porta il peggioramento del servizio e l’innalzamento delle tariffe. Ed in un territorio come la Puglia questo rappresenterebbe un’ipoteca e un rischio per la qualità dell’acqua e un’incognita per le bollette. In questo Paese un referendum ha provato a costruire una barriera contro la mercificazione dell’acqua, ma se ne sono dimenticati tutti».

Restiamo sul pratico. Nel 2018 scade la concessione dell’Acquedotto Pugliese, che a quel punto dovrà essere oggetto di gara d’appalto. Significa che potranno presentarsi le multinazionali, che potrebbero subentrare al gestore pubblico e prendersi il servizio. Cosa pensate di fare?

«Il 2018 è qui a due passi. Abbiamo il dovere di completare un’opera politica oltre che culturale, e spero che non sia solo un cimento del centrosinistra ma possa essere un obiettivo dell’intero Consiglio regionale. Serve una svolta che garantisca, definitivamente, la pubblicità di Aqp, e questo può avvenire solo con l’ingresso dei Comuni nella proprietà e nella gestione. I Comuni sono la garanzia che il servizio non verrà mai messo a gara».

Con quali tempi?

«I tempi sono maturi. Sull’argomento c’è una sensibilità diffusa a livello di governo, ed anche una certa urgenza: la scadenza del 2018 per Aqp è diventata una barriera all’accesso al credito bancario. E le opere necessarie a garantire e migliorare il servizio necessitano una massa costante di investimenti, che non possono essere che pubblici. Il privato non ha interesse a investire in laboratori di analisi, ha interesse a fare utili».

Spieghiamo anche questo.

«Soltanto nell’ultimo piano di investimenti approvato l’altro giorno dall’Autorità idrica pugliese, la Regione si fa carico di 528 milioni di euro. Ripeto mezzo miliardo di euro, a fronte di appena 300 milioni caricati sulle bollette, che possiamo garantire proprio in quanto Aqp è un’azienda pubblica. Cosa accadrebbe se il servizio finisse ai privati, e se quel mezzo miliardo sparisse? È bene dirlo chiaro: tutto ciò che non metterà la Regione, dovranno metterlo i cittadini con le loro bollette».

Ecco, a proposito. L’incremento del 6,5% delle tariffe stabilito per i prossimi due anni non è proprio una cosetta da nulla per l’opinione pubblica

«Ma l’aumento sarebbe stato molto, molto più alto se la Regione non avesse garantito anche 200 milioni di anticipazione finanziaria. Quei 200 milioni, me lo faccia dire, sono un altro grande affare per i pugliesi: si prendono soldi bloccati sul nostro conto corrente, soldi che non possiamo spendere per via del Patto di stabilità, e li si prestano ad Aqp che li restituirà ai pugliesi con gli interessi. Ma c’è anche una difficoltà oggettiva».

Ovvero?

«Siamo stati assoggettati a un nuovo metodo di calcolo della tariffa che, in tutte le parti d’Italia in cui è stato già applicato, ha prodotto sensibili aumenti. Forse qualcuno dovrebbe porsi il problema: la delibera dell’Autorità dell’Energia che contiene il metodo di calcolo, così com’è, sembra scritta per favorire le grandi multiutilities private, a cui vengono garantiti grandi profitti. Ecco perché dico che si è lavorato per sabotare i risultati del referendum».

Quella delibera è figlia del governo Monti, un convinto liberista…

«Ecco. Oggi, che non c’è più Monti, ci sono le condizioni giuste per porsi il problema».

Torniamo alla cessione di Aqp ai Comuni. Non vede il rischio che lasciare un’azienda come l’Acquedotto nelle mani dei sindaci equivalga a riconsegnarla agli appetiti della politica?

«Questo rischio, che esiste, va chiamato con il suo nome: clientelismo. Credo che i Comuni dovranno avere un ruolo centrale nell’indirizzo di Aqp, dovranno essere i custodi gelosi della sua rete. E dovremo immaginare un modello di gestione che non sia concepito come una lottizzazione. Bisognerà coinvolgere i cittadini, le associazioni, i sindacati, così come avevamo già immaginato nella legge di ripubblicizzazione».

Ma bisognerà anche riscrivere una legge dello Stato, quella che ha trasferito l’Acquedotto alle Regioni, e costruire un modello che non ha altri esempi. Come si fa?

«Siamo di fronte a una delle sfide più interessanti che attendono la classe dirigente dell’intero Paese. L’Ue ci dice che il servizio idrico può essere gestito in-house, e lo dice in modo molto più tranchant rispetto a ciò che sosteneva il governo Monti. Ci serve un modello societario che parta dalla titolarità del servizio – che è in capo ai Comuni -, consenta il controllo analogo – che è molto penetrante -, e allo stesso tempo impedisca intromissioni clientelari. Non c’è alcun altro posto in Europa in cui una comunità di 4 milioni di abitanti può decidere il futuro di un servizio così importante che ha alle spalle una storia così importante».

Presidente Vendola, oggi a Potenza tornano a incontrarsi Puglia e Basilicata per il comitato di controllo sull’accordo di programma. Sono in ballo i milioni di euro che ogni anno la Puglia versa per l’acqua lucana. Dobbiamo aspettarci altri aumenti?

«Sulle opere di compensazione ambientale non abbiamo visto dalla Basilicata un impegno pari a ciò che la Puglia ha versato in questi anni. Ma questo è il passato, e non vogliamo far polemica. Osserviamo che l’Autorità per l’energia oggi non definisce più il costo all’ingrosso dell’acqua e lo ritiene nei fatti azzerato. Ora, è evidente che captare l’acqua abbia un costo. Ma siamo certi che questo discorso vada lasciato alla trattativa tra due Regioni, proprio mentre viene creato il distretto idrografico meridionale? Oggi i nostri problemi si chiamano grande adduzione, invasi, galleria Pavoncelli, che riguardano 4 milioni di persone. Non è giusto che questi siano problemi solo della Puglia e della Basilicata: devono occuparsene il governo e il ministro per le Infrastrutture. Sul futuro dell’Ente irrigazione, ad esempio, non possiamo certo decidere noi. Noi, finora, siamo stati quelli che hanno sempre pagato».

di Massimiliano Scagliarini
www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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