In un ex centro sociale abbandonato di Bologna nascono Orti circolari, sinergici e biodinamici, studiati per spingere le piante di aiutarsi tra di loro, senza bisogno di usare fertilizzanti e prodotti chimici.
Orti circolari, sinergici e biodinamici, studiati per spingere le piante di aiutarsi tra di loro, senza bisogno di usare fertilizzanti e prodotti chimici. Di fianco, nell’ex parcheggio, orti sopraelevati, idroponici, per disabili: aiuole verdi montate su degli enormi rocchetti di legno dotati di ruote, quindi perfettamente manovrabili da degli ortolani in sedia a rotelle. Succede a Bologna, nel cortile dell’ex centro sociale Livello 57, che da giugno tornerà a vivere come sede della cooperativa Eta Beta, attiva da oltre vent’anni nel recupero di tossico-dipendenti.
Fino a dicembre, il Livello era solo un centro sociale abbandonato, fatto un’enorme tensostruttura, una casa colonica diroccata, un parcheggio abbandonato e dei campi. Vuoto a perdere per 600 metri quadrati. Sequestrato nell’estate del 2006 dall’allora sindaco Sergio Cofferati, il complesso di via Battirame, in zona Roveri, pieno quartiere industriale di Bologna, non era mai più stato riaperto. Dietro i cancelli c’erano rottami di vecchi autobus (uno di Rimini, portato dai Mutoidi, che animavano i rave di quegli anni) macchine abbandonate, siringhe, vecchi elettrodomestici. La casa colonica cadeva a pezzi e l’enorme tensostruttura adiacente, progettata per i mondiali del 1990, veniva usata abusivamente per la macellazione di animali.
Ora questo complesso ha cambiato volto. Il quartiere ha fatto un bando, che lo ha consegnato per vent’anni alla cooperativa Eta Beta, in cambio della sua valorizzazione. Il progetto complessivo si aggira attorno ai 600mila euro, da cui la cooperativa scalerà l’affitto che deve al Comune. Juan Crous, il presidente, indipendentista catalano trapiantato a Bologna, artista, medievalista, ha immaginato tutto come un monastero, con orti, corti, cancelli, e pergolati per fare l’ombra. “I monasteri sono piccole enclave specializzate, che agiscono su un raggio massimo di 30 chilometri – spiega lui – I contatti con l’esterno arrivano attraverso le relazioni, lo scambio. Io penso che questo sia l’unico modo per attivare processi di rigenerazione urbana”. Fuori dalla casa, nel cortile della casa colonica, Alessandro Ricci ha progettato “Il giardino dei semplici”, disegnato sul modello dei giardini monastici: con un pozzo, un pergolato di vite, e più di 150 piante officinali. Gli orti all’esterno invece invece li ha disegnati Nicolò Rizzati, 24 anni, del Rescue Lab, il centro di ricerca specializzato in orti urbani dell’Università di Bologna. “La forma circolare è una scelta estetica – spiega – La differenza principale rispetto agli orti tradizionali è che qui facciamo agricoltura sinergica e biodinamica. Coltiveremo di tutto:fave, patate, peperoni, peperoncini. Ai lati abbiamo piantato delle erbe aromatiche, che aiutano ad allontanare insetti nocivi. Il terreno è ricoperto di paglia, che limita la traspirazione dell’acqua”. Gli orti per disabili sono lì a fianco, nell’ex parcheggio. Cosa vuol dire agricoltura sinergica Nicolò lo spiega con un esempio: “Il taggete è una pianta ornamentale, che produce ossidati. Gli ossidati attirano e uccidono i nematodi, che danneggiano le patate”. Stesso discorso per le piante leguminose: “Fissano l’azoto e l’azoto serve a fare crescere le piante lì intorno. E’ un po’ come se fossero dei fertilizzanti naturali”. I prodotti dell’orto saranno poi cucinati dentro la mensa, attrezzata per produrre più di duecento pasti al giorno, che potranno essere consegnati anche a domicilio a tutte le aziende limitrofe. A chilometro zero, anzi, ride Juan Crous, “a chilometro monastico”.
di Caterina Giusberti
Lastampa.it