Enormi palloni segnati da una X e striscioni con scritto: “La Coppa del Mondo in un paese di miseria, finanziata con denaro pubblico, è un problema morale”. E’ una delle tantissime proteste (da tante voci e in tante forme) che il Brasile ha conosciuto in questi mesi e che sta conoscendo in questi giorni dopo quanto è accaduto nel paese per la preparazione dei Mondiali di calcio.
A tanti era sembrata una buona idea ospitare i Mondiali di calcio in Brasile, una delle nazioni più ossessionata dal calcio. Ma la predizione si è rivelata sbagliata. Il governo brasiliano ha speso 14 miliardi di dollari per questa “avventura”, trasformando questi Mondiali (iniziati il 12 giugno) nell’oltraggio più costoso di tutti i tempi. E ciò ha scatenato l’indignazione dei brasiliani, molti dei quali accusano il governo di corruzione e stigmatizzano i fiumi di denaro spesi per stadi e polizia, mentre nella nazione la povertà è endemica e i problemi sociali dilagano.
Questo ha portato a violentissime proteste contro il governo, iniziate l’anno scorso e che si sono intensificate in questi ultimi giorni; proteste cui il governo ha risposto con grande dispiegamento di poliziotti, gas e metodi assai drastici. L’organizzazione internazionale Vice News ha percorso
![le-proteste-in-brasile-contro-mondiali-e](https://caposele5stelle.it/wp-content/uploads/2014/06/le-proteste-in-brasile-contro-mondiali-e-300x177.jpg)
Poi c’è stata quella che il governo ha definito la “preparazione” dell’area, con lo sgombero delle favelas di Rio de Janeiro occupate da migliaia di persone. I modi sono stati brutali, tutto quanto era rimasto dopo l’allontanamento della gente è stato abbattuto dalle ruspe. E si proseguirà anche in vista delle Olimpiadi che approderanno in Brasile nel 2016. Secondo diverse associazioni non governative che si stanno occupando del problema, gli sfratti e le demolizioni potrebbero interessare complessivamente 170mila persone in tutto il paese.
Le organizzazioni, i movimenti sociali e i sindacati, uniti dallo slogan Nao Vai Ter Copa, hanno tentato, da San Paolo e Rio de Janeiro, di bloccare aeroporti, stazioni, autostrade e la viabilità urbana e nazionale con l’obiettivo di paralizzare i movimenti di chi arrivava per i Mondiali. Le associazioni denunciano come, a fronte di una spesa pubblica per l’organizzazione dell’evento di appunto 14 miliardi, il governo di Dilma Rousseff abbia operato drastici tagli alla spesa pubblica e al welfare: dall’istruzione alla sanità, dai trasporti alle pensioni fino agli alloggi popolari. Poi gli sgomberi di ampi settori delle favelas o di luoghi abitati dai nativi, sotto lo slogan della pacificazione e all’insegna della speculazione edilizia.
E proprio la lotta per la casa è il fulcro su cui si è cementificata la coesione del movimento. Essendo oramai chiaro che l’organizzazione di grandi eventi sportivi non porta benefici alle casse dello Stato, ma solo agli sponsor e agli investitori privati, nessuno in Brasile crede che se anche Neymar e compagni dovessero sollevare la Coppa la situazione economica migliorerà. Per questo oggi si protesta contro la Coppa del Mondo. A San Paolo i dipendenti della società che gestisce la metropolitana sono scesi in sciopero per giorni e la polizia ha cercato di fermare le proteste sparando gas lacrimogeni ad altezza uomo.
La presidentessa Dilma Rousseff ha detto che il governo utilizzerà tutti i mezzi necessari per impedire il blocco del Mondiale e ha dichiarato: “Le manifestazioni di piazza non aiutano lo sviluppo della democrazia”. Le città sono militarizzate grazie a un imponente schieramento di forze dell’ordine e membri dell’esercito, per un business della sicurezza costato oltre un miliardo di dollari che ha coinvolto addirittura i temibili mercenari americani della Blackwater.
Una “colonia” delle multinazionali
Tutto questo accade in un paese che è l’enorme colonia delle multinazioni. Quelle del petrolio: la produzione crescerà dagli attuali 2,1 milioni di barili quotidiani a 4,1 milioni nel 2020 e a 6.5 milioni nel 2035. Quelle delle biomasse (che di bio non hanno nulla): nel 2035 il Brasile coprirà il 40% del mercato globale di biocombustibili, giacché conta su terre sufficienti per espandere le coltivazioni di canna da zucchero per etanolo (sottraendole alla produzione alimentare e alle foreste). Quelle del biotech: in Brasile ci sono vastissime aree dove si coltivano varietà ogm. Le multinazionali minerarie: ferro, bauxite e tanto altro, tutto da estrarre senza troppi scrupoli, anche all’interno delle aree indigene.
Chissà se gli occhi del mondo ora puntati sul Brasile sapranno o vorranno vedere qualcos’altro oltre al calcio?
Il Cambiamento.it