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Renzémolo

 Dunque sabato sera i telespettatori di Amici saranno privati dell’imprescindibile presenza di Matteo Renzi accanto a Maria, a causa di una legge odiosamente illiberale: la par condicio che proibisce le ospitate di politici nei programmi non giornalistici in campagna elettorale. Si teme così che il premier, già costretto a declinare l’autoconvocazione come goleador alla Partita del Cuore, non tenterà neppure di sfoggiare le sue doti di cantante al concertone del 1° Maggio o a The Voice, cucinare prelibatezze della cucina toscana a Masterchef, saggiare la sua enciclopedica sapienza (leggendaria fin dai tempi della Ruota della Fortuna) in un quiz pre o post-tg, declamare con la sua voce baritonale il segnale orario, le previsioni del tempo e l’oroscopo. Gli italiani dovranno dunque attendere fine maggio per sapere che faccia ha il presidente del Consiglio, ingiustamente oscurato da tutte le tv, eccezion fatta per i programmi del mattino, del pomeriggio, della sera e della notte. A meno che non accolga l’invito di Barbara D’Urso a Domenica Live che – lo si è scoperto dopo il monologo del Cainano – è nientemeno che un “programma giornalistico”. Se non ci fosse da scompisciarsi di fronte a un capo del governo così pieno di sé da voler occupare ogni teleinterstizio diurno e notturno, verrebbe da domandargli perché se ne infischi così ostentatamente di una legge nata per riportare un minimo di decenza nella patria del conflitto d’interessi, al punto di farsi dare una lezione di par condicio addirittura da Mediaset. La risposta, purtroppo, è nota: vent’anni di berlusconismo hanno coperto e giustificato i conflitti d’interessi del centrosinistra, trincerato dietro l’alibi del “lui ce l’ha più grosso di noi”. Chi parla più della mostruosità di un leader politico proprietario di tre reti televisive che da vent’anni si fa intervistare (si fa per dire) dai suoi impiegati? Anziché sciogliere quel nodo, il centrosinistra si è preso la rivincita controllando pezzi di Rai e di giornali, che usano i medesimi riguardi riservati a B. dai suoi impiegati, senza disdegnare qualche ospitata a Mediaset per dimostrarne lo squisito pluralismo. D’Alema che cucina il risotto a Porta a Porta o duetta con Gianni Morandi su Rai1. Fassino che piagnucola davanti alla tata Elsa a C’è posta per te. Amato che finge di giocare a tennis con Panatta chez Vespa. Politici di ogni colore che fanno i pagliacci al Bagaglino con le torte in faccia. Quando Renzi dice che il patto con B. riguarda “solo” le riforme (hai detto niente), gli sfugge che la scelta di un simile partner costituente gl’impedisce di polemizzare con le mostruosità che escono dalla sua bocca (per dire qualcosa sulla dichiarazione di guerra alla Germania, ha dovuto equipararla alla “frase inaccettabile di Grillo sulla Shoah”, che però non esiste: Grillo non ha detto nulla sulla Shoah; ha parafrasato molto inopportunamente un brano di Primo Levi, con un assurdo fotomontaggio sulla P2 e Auschwitz). E di fare qualcosa contro il conflitto d’interessi, che infatti resta tabù. Più i giorni passano, più il leader “nuovo” somiglia a quelli che doveva rottamare: chiacchiere tante, fatti pochi e transumanze da una tv all’altra per “fare il simpatico”. La differenza è il giubbotto fico al posto della grisaglia. Appena entrato a Palazzo Chigi, oltre ai virus della chiacchierite e dell’annuncite, Renzi ha contratto pure la prezzemolite. Aiutato dalla peggior classe giornalistica del mondo, s’è convinto che gl’italiani muoiano dalla voglia di sapere se preferisce la carne o il pesce, le bionde o le more, gli slip o i boxer. Ieri è apparso in tv con un pallone e poi con una banana in mano. Intanto la Boschi ci ragguagliava su Vanity Fair su altre questioni decisive: se vuole dei figli, e se sì quanti, se ha già trovato l’uomo giusto o se possiamo fare qualcosa per aiutarla nelle ricerche. Un giorno o l’altro magari verrà fuori un politico serio, che si fa eleggere e va al governo per governare e parla solo quando ha qualcosa da dire: non per promettere ciò che farà, ma per comunicare ciò che ha fatto. E non lo noterà nessuno.

di Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano 29.04.2014

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