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Renzi lavora a tagli lineari per pagare gli 80 euro Sanità nel mirino e l’Italia rischia la deflazione

renzi_80Non è corretto parlare di tagli lineari, bensì di corpose riorganizzazioni e riduzioni di acquisti a livello nazionale”. Questa è la tesi lasciata trapelare dal Tesoro sulle coperture strutturali del famoso taglio Irpef da 80 euro mensili e, va detto, assomiglia un po’ a quella forma del discorso che Ugo Tognazzi ha immortalato nell’espressione “supercazzola”. Non sono tagli lineari, ma corpose riduzioni di spesa. Lineari, visto che l’obiettivo di risparmio è già deciso e non verificato a consuntivo di eventuali buone pratiche messe in campo nella P.A. o nella gestione dei suoi appalti per beni e servizi. Niente di nuovo rispetto a quanto fatto da Giulio Tremonti, Mario Monti e, in parte, Enrico Letta.

CHE DI TAGLI LINEARI si stia discutendo – e peraltro non solo nella spesa intermedia (acquisti) – è non solo una conseguenza logica di quanto detto, ma è confermato da una nota riassuntiva visionata dal Fatto Quotidiano: Consip ha praticamente chiuso quasi tutti i contratti sul 2014 e dunque dalla spesa per beni e servizi il governo si aspetta di ricavare 800 milioni bloccando tutto quel che resta da fare (in realtà per la Ragioneria generale al massimo si risparmieranno 700 milioni). Anche da capitoli di impatto mediatico come gli stipendi dei manager potranno arrivare pochi spiccioli: 500 milioni secondo il governo, 300 per la Ragioneria. I restanti 3,5 miliardi di coperture che dovrebbero arrivare da riduzioni di spesa sono tagli lineari – come i primi due, d’altronde – ai bilanci dei vari settori (Difesa e Esteri, poco, Sanità molto), che andranno a sommarsi a quelli ancora operativi sul 2014 e 2015 delle finanziarie dei tre precedenti esecutivi.

Il settore della salute, come detto, è nelle intenzioni del Tesoro l’obiettivo più appetibile: 110 miliardi l’anno sembrano un’enormità eppure i tagli ci sono già stati, e non indolori. L’incidenza della spesa sanitaria sul Pil è passata dal 9,2 per cento del 2011 al 7,1 dell’anno scorso, meno della media europea. Ormai ogni riduzione di spesa incide sulla carne viva dei cittadini. Tradotto: ogni taglio significa meno servizi o aumento del ticket. C’è sempre il modo di spendere meglio i soldi, ma il Sistema sanitario nazionale non può sopportare più tagli lineari: lo dice anche una Indagine conoscitiva disposta all’unanimità dal Parlamento e le cui conclusioni dovrebbero essere pubblicate a breve, dopo sei mesi di audizioni di tutti i soggetti coinvolti a vario titolo col Ssn, dai medici ai pazienti, dai Centri di ricerca agli Osservatori.

ANCHE SE FACESSE tutto questo, comunque, a Renzi mancherebbero comunque 2 miliardi sui 6,6 che gli servono per tagliare l’Irpef nel 2014 (l’anno prossimo, si spera nelle forbici di san Carlo Cottarelli) Un miliardo circa dovrebbe arrivare dai 2,5 totali di minori interessi sul debito (Tesoro e Ue hanno invece detto no ad un aumento del deficit), il resto dagli incassi Iva sul pagamento di 13-15 miliardi di debiti commerciali della P.A.: non quelli vecchi, però, ma quelli contratti in questi mesi, in modo che i pagamenti dell’imposta sul valore aggiunto siano entrate reali, non già scontate in qualche modo dalle aziende.

Il problema vero è che non solo la sanità, ma l’intera economia del paese non può più reggere a una politica economica che l’ha già portata in recessione e ora quasi in deflazione. Avverte Francesco Boccia, presidente Pd della commissione Bilancio di Montecitorio: “Se noi in Italia, con tassi di interesse in calo, disinflazione, riduzione del Pil, dei salari e del valore dei beni, facciamo dei tagli indiscriminati della spesa pubblica passeremmo dalla disinflazione alla deflazione, innescando una spirale perversa che alla fine impazzirà con forti ripercussioni negative per l’economia”. E, ovviamente sui conti pubblici.


di Marco Palombi
Il Fatto Quotidiano 05.04.2014

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