“Con la consultazione sulla questione del voto di preferenza si è concluso il nostro percorso che illustrava il funzionamento di un sistema elettorale nelle sue varie parti. Ora la proposta di legge definitiva verrà stilata dal gruppo parlamentare e proposta alla consultazione per il voto definitivo.
Se richiesto fornirò il mio parere prima sull’elaborato complessivo, però ci sono da spiegare alcune cose sulla architettura complessiva della proposta e sul perché stiamo parlando solo della riforma elettorale per la Camera e non per il Senato. Il punto è questo, il costituente, l’assemblea costituente varò un modello di sistema istituzionale bicamerale perfetto perché presupponeva che si sarebbe votato sempre con il sistema proporzionale e le coalizioni si sarebbero fatte dopo il voto, cercando la maggioranza utile in tutti e due i rami del Parlamento.
Nel caso invece del sistema maggioritario questo non funziona. Infatti non esiste nessun sistema costituzionale al mondo di tipo parlamentare dove ci sia il bicameralismo perfetto perché il sistema maggioritario tende, come ebbi modo di piegare nel primo incontro che abbiamo avuto, ad amplificare gli effetti. Se nel proporzionale uno spostamento del 2% dei voti corrisponde uno spostamento del 2% dei seggi, nel maggioritario al 2% dei voti corrisponde grossomodo uno spostamento dell’8% dei seggi. Questo significa che siccome inevitabilmente i due rami del Parlamento avranno dei risultati anche di poco diversi, in alcuni casi anche una differenza di poche migliaia di voti potrebbe determinare maggioranze diverse nei due rami del Parlamento.
E infatti è esattamente quello che è accaduto a febbraio scorso, questo anche perché il nostro sistema prevede che mentre la Camera ha un sistema elettorale nazionale, il Senato ha un sistema elettorale su base regionale, quindi un sistema istituzionalmente diverso che produce effetti distorsivi.
Nessun sistema parlamentare affida la formazione delle camere a un sistema di tipo maggioritario quando ci sia il bicameralismo, in Italia questo è successo e, infatti, c’è la proposta di ridurre il Senato a poco più che una camera consultiva, composta di Presidenti di regione e alcuni sindaci, in modo da evitare il rischio di paralisi tra i due rami del Parlamento. Si tratterebbe di una istituzione poco più che consultiva, la cui massima attribuzione sarebbe quella di partecipare alle elezioni del Presidente della Repubblica.
Qui si pone un problema, che ne facciamo del Senato? La proposta più facile sarebbe quella di abrogarlo e peraltro ci sarebbero ottime ragioni per farlo, però non è detto che non sia il caso di mantenerlo rivisto profondamente, ridotto molto nella sua composizione e affidandogli compiti diversi.
Un’ipotesi è di farne una camera delle regioni, delle autonomie locali, un’ipotesi avanzata molte volte, che personalmente mi trova piuttosto freddo, ma che ha una sua logica. C’è però anche un’altra possibilità: all’inizio il Parlamento aveva funzioni essenzialmente di controllo, non c’era il voto di fiducia, nello Statuto albertino il potere esecutivo apparteneva al Re, solo successivamente si è imposto il voto di fiducia.
All’inizio il Parlamento aveva essenzialmente funzioni di controllo per evitare che il governo potesse in qualche modo degenerare. Nel frattempo, mano a mano che il Parlamento ha acquisito il voto di fiducia, il potere legislativo, etc., le sue funzioni di controllo sono andate decadendo, per una ovvia ragione: la stessa maggioranza che votava la fiducia al governo avrebbe dovuto esercitare le funzioni di garanzia e di controllo e naturalmente ha finito per esercitarle nell’interesse del governo, quindi la funzione di controllo del Parlamento è decaduta nei fatti.
E così anche l’elezione dei giudici costituzionali, dei membri del Consiglio superiore della maggioranza, che si sarebbe immaginato essere al di sopra dello scontro politico, sono invece state riassorbite nello scontro tra formazioni politiche, e allora perché non pensare a una differenziazione di ruolo tra i due rami del Parlamento? Alla Camera il voto di fiducia e il potere legislativo, al Senato il potere di controllo, di elezione dei membri della corte costituzionale del CSM, il potere di fare commissioni parlamentari di inchiesta, etc., quello che dovrebbe, in qualche modo, garantire meglio i cittadini dagli abusi del governo e dalla eccessiva ingerenza dei partiti in organismi delicati come Corte costituzionale e CSM.
Naturalmente questo presuppone un Senato eletto direttamente dal popolo, con molti meno componenti attuali, con candidature individuali non di partito, in modo da garantirne l’indipendenza, soprattutto si immagina una riforma della Costituzione per la quale venga superata l’attuale anacronistica soluzione per la quale eletti e elettori al Senato sono più vecchi che alla Camera, come se questo fosse di per sé garanzia di maggiore saggezza.
In ogni caso, senza risolvere il nodo del Senato non sarà possibile avere un sistema elettorale che garantisca una relativa stabilità di governo, ma qui torno a dire una cosa, non è alla legge elettorale che bisogna chiedere la garanzia della stabilità del governo, questo semmai è compito dell’architettura istituzionale per cui, per esempio, si elegge un governo a tempo, come è nelle Repubbliche presidenziali, soluzione discutibile, ma se si vuole la stabilità quella è la soluzione.
Le leggi elettorali non potranno mai garantire questo, perché è del sistema parlamentare la possibilità di cambiare governo durante la legislatura, e questo non è un aspetto superabile. ” Aldo Giannuli